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“Luna sotto Venere” di Andromeda: recensione

Un disco pop di questa fattura non nasce mai nel vuoto. Sebbene “Luna sotto Venere”, un album che ha segnato l’inizio di dicembre 2025, sia il “diario sonoro”  della rinascita di un singolo artista, il suo successo e la sua coerenza sono il risultato di un’alchimia perfetta, un triangolo creativo dove ogni vertice ha svolto un ruolo cruciale. È un’opera che dimostra come l’identità di un performer, l’architettura di un produttore e la penna di un’autrice possano fondersi per creare un esordio pop di respiro internazionale.

Il primo vertice è Nacor Fischetti, l’architetto sonoro. La sua produzione è la forza motrice del disco. È lui che prende la “verità emotiva” della storia  e la traduce in un linguaggio universale: quello della dance. Il suo sound, che fonde pop, funk e sfumature anni ’80, non è mai banale o meramente nostalgico. È un suono moderno che cita Dua Lipa e Calvin Harris  con cognizione di causa. Fischetti costruisce il palcoscenico: fornisce il basso pulsante e l’energia solare di “Ok, Goodbye” , il synth tagliente e l’urgenza di “Rumore” , e le atmosfere elettroniche e sognanti, quasi daftpunkiane, della title track “Luna sotto Venere”.

Il secondo vertice è la scrittura, condivisa dall’artista con Gloria Collecchia. Se Fischetti costruisce il palco, Collecchia aiuta a scrivere la sceneggiatura. Il “diario sonoro” della rinascita  ha bisogno di una narrativa chiara per non perdersi in confessioni astratte. Questo team di scrittura trasforma il dolore in pop. È responsabile dell’onestà disarmante di “Non hai bisogno di me”, che affronta la “verità dolorosa di una relazione al capolinea” , e della vulnerabilità di “Quello che manca”, che esplora il “senso di solitudine e inadeguatezza”. È la penna che bilancia l’energia della produzione con la malinconia dei testi, come nel perfetto “crying on the dancefloor” di “Ventiquattro Ore”.

Infine, c’è il cuore pulsante: Andromeda. È lui il performer, colui che fornisce la materia prima, l’autenticità. È la sua storia—l’abbandono di una vita non sua , la “liberazione dal peso del giudizio” —a dare un’anima ai beat di Fischetti e alle parole di Collecchia. È la sua voce che rende credibile il tormento di “Amore Classico”  e gioiosa la liberazione di “Ok, Goodbye”.

“Luna sotto Venere” è la dimostrazione che il grande pop italiano contemporaneo non è (solo) un atto solista, ma un’impresa collettiva. È un esordio che funziona perché produzione, scrittura e performance sono perfettamente allineate verso un unico obiettivo: trasformare la musica in uno “spazio di libertà”.