“Blacktar”: il rock degli IYV esplora l’oscurità con una miscela di grunge e sperimentazione

Il rock ha sempre saputo raccontare l’eccesso. Ma gli IYV non celebrano nulla: Blacktar è il disco di chi ha perso, ha perso tutto, e prova a rimettere insieme i pezzi. Non c’è epicità, solo l’umana miseria di chi cerca un senso dopo tredici anni di buio. E lo fanno con un sound potente ma stratificato, che guarda agli Alice in Chains, ai Tool, ai Radiohead più disturbati, senza perdere un’identità personale. Il concept, forte anche a livello grafico, è cinema sporco, narrativa autobiografica, psicanalisi in musica. Il messaggio? Forse che la bellezza sta nel provare, non nel riuscire. E che a volte la redenzione non è un traguardo, ma il viaggio stesso.

Il disco fonde grunge, rock alternativo e sperimentazione: quanto è stata naturale questa mescolanza?

È stato un naturale processo evolutivo. Quando abbiamo cominciato eravamo tutti grandi appassionati della scena proveniente principalmente da Seattle quindi inevitabilmente quelle grandi band hanno influenzato il nostro modo di ascoltare, sentire e scrivere musica. Di per sé il “grunge” è un rock alternativo in contrasto con il Classic Rock. Le band capostipiti di quel cosiddetto genere sono tutte molto diverse tra loro, hanno in comune il periodo storico e le sonorità crude, ma a livello compositivo hanno tutti una loro identità ben distinta. Noi abbiamo sposato quell’approccio perché fa parte di noi e della nostra cultura, poco marketing e stronzate, principalmente musica. Negli anni le cose sono mutate, i componenti sono cambiati, le ispirazioni si sono evolute. La sperimentazione è parte del complesso gioco della composizione, quando cerchi qualcosa di nuovo, sonorità, accordature, evolvi il tuo stile compositivo. Tutto questo è estremamente naturale quando provi e suoni insieme ad una band invece di scrivere canzoni a tavolino.

L’accordatura in drop D è ricorrente: che ruolo ha avuto nella costruzione dell’identità sonora?

Il drop D è un’accordatura a cui sono estremamente affezionato (Matt). Ho cominciato ad usarla molto presto e ne ho scoperto nel tempo i vantaggi e le criticità, ciononostante ha contraddistinto il sound degli IYV dagli inizi. Scrivere ii brani in drop D cambia completamente l’approccio alla composizione, scrivi cose diverse, usi pattern diversi. In Blacktar buona parte del disco è stato composto con quell’accordatura, ad esclusione di 3 brani che usano un’accordatura Drone in FA. Gli arrangiamenti della seconda chitarra invece sono tutti eseguiti con accordatura standard, questo crea un mix di sonorità efficace.

Come avete lavorato in studio per ottenere un suono così viscerale e dinamico?

Siamo andati dal vecchio amico Tommaso Mantelli (aka Captain Mantell) che ha un bello studio vicino al Piave, immerso nella campagna. L’atmosfera lì è sempre piacevole e ispirante. Abbiamo registrato le batterie suonando in cuffia tutti gli altri strumenti, per dare all’esecuzione il giusto piglio. Dopodiché abbiamo registrato tutto il resto in sessioni separate, aggiungendo arrangiamenti non ancora sperimentati in prova, tuttavia cercando di mantenere il feeling che i brani avevano suonati dal vivo. Tommy poi ha fatto un grande lavoro nell’aiutarci in tutte le fasi di registrazione, che più o meno sono durate una decina di giorni.

Ci sono strumenti o tecniche di registrazione particolari che avete adottato per questo disco?

Formazione classica, basso, batteria, due chitarre e voci. Abbiamo usato amplificatori valvolari con una serie di bitcrusher e altri effetti per rompere completamente il suono della mia chitarra (Matt), mentre Alessio è andato direttamente di ampli digitale, passando per la cassa e microfonando il tutto. Le voci sono state registrate con 3 microfoni simultaneamente, miscelando condensatore, dinamico e valvolare. Poi ascoltando il disco si sentono qua e là dei ventilatori, una sedia scricchiolante e altre cose così. Da qualche parte c’è pure una citazione di un grandissimo film degli anni 80.

Come si traduce il sound di Blacktar dal disco al palco?

Il disco come dicevo è stato provato e riprovato live prima di registrarlo, quindi il sound è pressoché fedele dal vivo, ad eccezione di qualche arrangiamento che viene obbligatoriamente trascurato. Dal vivo ci concentriamo sui brani e sulla loro dinamica. L’impatto è notevole.