C’è una malinconia dolceamara che attraversa tutto Natura Morta. I Folkstone ci prendono per mano e ci conducono dentro un viaggio che parla delle nostre cadute, dei nostri sogni, della nostra ostinata voglia di esistere.
Alabastro è il primo passo: vigoroso, sognante. È il momento in cui il viaggiatore decide di partire. Appennino è la casa lasciata alle spalle, è il profumo di terra umida e vento freddo. In Vuoto a Perdere, si avverte il peso degli errori. In Lacrime di Marmo, il dolore si cristallizza nelle montagne che piangono silenziosamente. Natura Morta è il bivio: tra la resa e la consapevolezza. Il brano suona come un requiem e una preghiera insieme. Macerie è lo scenario dopo la battaglia: polvere, sangue e ancora voglia di scavare. Resta qui è l’incontro salvifico: non da soli, mai. Fragile è un inno alla musica come ancora di salvezza. Mediterraneo è il nostro presente: confuso, ferito, bellissimo e doloroso. Mala Tempora Currunt urla che bisogna ballare anche sull’orlo del precipizio. La Fabbrica dei Perdenti è la rivendicazione degli ultimi, fieri e senza paura. Scarpe Rotte è il passo lento di chi è sopravvissuto. Persia è il sorriso di chi, nonostante tutto, continua a costruire. Sulla Riva è una mano tesa verso chi ha sofferto in silenzio. Brindo Otra Vez è il brindisi che unisce vivi e morti, sogni e cicatrici. L’ultima Thule è il punto di non ritorno: dove finisce la terra, ma non la speranza.
Ci sono album che sembrano parlare direttamente all’anima. Natura Morta dei Folkstone è uno di questi: 16 canzoni che si rincorrono come pagine di un diario intimo.







