Carlo Audino è un cantautore dalla scrittura intima, diretta e profondamente umana. Romano, con alle spalle un percorso musicale che si nutre tanto di introspezione quanto di ironia, racconta il mondo con uno sguardo disincantato e sensibile, capace di trasformare il quotidiano in poesia. Le sue canzoni sono piccoli romanzi in musica, brani che scavano nei sentimenti più complessi – dalla timidezza alla contraddizione, dall’amore alla rinuncia – senza mai cedere al banale. La sua penna è viscerale, spesso autobiografica, e il suo processo creativo è vivo, mutevole, aperto a continue trasformazioni, proprio come le emozioni che cerca di raccontare. Con il nuovo singolo “Lorenzo e la Luna”, Audino torna a parlarci del dubbio e dell’attesa, della luce e dell’ombra, in una ballata sospesa tra realtà e metafora.
Ciao Carlo, ben tornato sulle nostre pagine. “Lorenzo e la Luna”, il tuo nuovo singolo, è un brano molto evocativo e personale: c’è un’immagine o un verso della canzone che senti più rappresentativo del tuo modo di scrivere oggi?
La mia timidezza è un aspetto molto noto alle persone che mi frequentano pertanto è proprio nella frase iniziale “Allora hai deciso cosa ti conviene fare?” di “Lorenzo e la Luna” che si trova la frase che più mi rappresenta. Nel senso generale la frase è rivolta da me (che canto) alla Luna: “che fai allora? Vuoi fuggire con me? In base alla tua decisione io mi muoverò di conseguenza: chiuderò con il Sole e vivrò sempre e solo con te nella penombra delle tenebre”. Ma è anche rivolta all’ “amico” Lorenzo: “allora? Che fai? Mi aiuti a capire quanto mi ama la tua amica Luna? Sento che con lei potrei vivere un futuro fantastico ma altresì sto abbastanza bene e stabile con la mia fidanzata Sole. Ti prego, amico mio, aiutami a capire che cosa debbo fare!”. E infine, ma forse “soprattutto”, è scritta rivolta a me stesso: “allora brutto ciccione, cosa hai deciso di fare? Vuoi continuare a prendere in giro quella povera ragazza che ti ama, povera Solina, e andartene con questa svergognata Lunatica conosciuta su un ascensore dell’ospedale dove sei ricoverato? Chi ti viene a trovare tutti i giorni affrontando un viaggio di sessanta chilometri dalla provincia sud di Roma? E ogni volta sorridente ed affettuosa e non ti fa pesare questa sua fatica e preoccupazione mentre tu stai adocchiando quella Lunatica che zoppica al reparto ortopedico del piano di sotto? Non ti vergogni? Va bene: vuoi il Sole? Vuoi la Luna? Sai cosa ti consiglio io, animo sensato di te sventurato: lascia stare tutto, stop! Tabula rasa! Lascia il Sole e soprattutto non ti avvinghiare in nuove catastrofiche avventure con la Luna. Prenditi un periodo di riflessione e ricomincia con totale onestà di sentimenti!”.
Poi la storia mi dimostrò che proprio quest’ultimo suggerimento, che io seguii poco dopo, fu quello più saggio e mi aiutò ad uscire da queste contraddizioni che in una persona timida sono percepite esponenzialmente. Sì, “Allora hai deciso cosa ti conviene fare?” è il verso che più mi rappresenta.
Nel tuo processo creativo, c’è un momento preciso in cui capisci che una canzone è “finita”, o la lasci aperta a future trasformazioni?
Una canzone non finisce mai di essere completata. È come una fialetta per le analisi: riflette sempre le caratteristiche di chi la riempie. E nel caso della canzone vi sono molti momenti dove questa subisce trasformazioni. Può avvenire perché cambiano le situazioni o ciò che uno sente. Può anche avvenire in fase di registrazione. Infine, ma questo è noto, una certa trasformazione viene posta in essere dalla sua interpretazione. Ad esempio, per quest’ultima circostanza, una cantante tipo Mina che sussurra al microfono “Allora hai deciso cosa ti conviene fare?” fa divenire tutto il brano un momento romantico e sensuale dove la Luna diventa l’orgasmo e tutti i vari graffi di motore e denti da sarto sono graffi dati sulla pelle dell’amante. Invece mettendo in bocca “Allora hai deciso cosa ti conviene fare?” ad un Piero Pelù il brano diventa un’esortazione al raggiungimento di questo o quell’obiettivo, del Sole o della Luna, comunque ce lo prendiamo. E poi c’è la mia versione, quella del fallito, dell’indeciso che sta per distruggere tutto e sta per rimanere con un pugno di mosche in mano. Invece nel caso della registrazione, è accaduto che in alcuni brani si sentiva mancasse qualcosa e questo fa ulteriormente trasformare il brano addirittura creando una intera parte, come è successo per l’inciso del brano “Cuore in fiamme” dove per completare l’inciso è stato aggiunto la parte rap di Sabrina Seaside. Infine il modo principe per cui molte canzoni richiedono trasformazioni è quando ci si rende conto che mancavano delle importanti diverse considerazioni o circostanze al brano. In effetti spesso càpita di comporre di getto solo una prima parte di una canzone, strofa ed inciso e a volte uno special. Nel caso di “Lorenzo e la Luna” infatti scrissi di getto la prima strofa e il primo inciso più o meno così com’è adesso. Lo scrissi direttamente in duplice copia su due foglietti, senza musica visto che da ricoverato non avevo la mia chitarra, e ne consegnai subito uno a la mia desiderata Luna. Poi quando sono stato dimesso e ritornato a casa ho ripreso l’appunto e l’ho musicato. Poco dopo ho scritto la seconda parte che ancora non era nota in fase di prima stesura: ancora non sapevo che la Luna era a sua volta indecisa tra me ed un altro, il suo chirurgo ortopedico che l’ha operata. Beh, Lorenzo con candore mi confidò: “Lascia stare la Luna ché si è fidanzata col chirurgo!”. Questo mi fece comporre la seconda parte. Ovviamente esistono canzoni che fanno eccezione e così come nascono restano per sempre, ad esempio il mio prossimo brano “Sogno d’amore”.
Hai mai scritto un brano che ti ha fatto scoprire qualcosa di te stesso che non avevi ancora compreso?
Sì, mi è capitato di scrivere canzoni che sentivo dentro ed ho fissato su carta così come le sentivo. Poi, dopo molto tempo, le ho rianalizzate ed ho trovato in esse sensi che non avevo dato volontariamente ma che rispecchiavano esattamente quel mio momento di vita o anche una mia definitiva caratteristica. È il caso di “Paura” oppure “Deserto” oppure “Faccia Rame” dove le parole sono uscite da sole ed io le ho accettate solo perché suonavano bene, poi con una lettura più razionale ho capito che disegnavano alcune mie diffidenze che ancora non avevo focalizzato.
Se potessi collaborare con un artista del passato, italiano o internazionale, chi sceglieresti e perché?
Tra le mie passioni vi è quella di provare a riparare tutto. Una volta ho provato con un giradischi di quelli che stavano sopra la radio AM, con il motorino a volano elettromagnetico e i chiodini di rame come puntine. Non lo avevo mai visto in funzione, lo smontai tutto e scoprii che il guasto era in uno dei pesi del volano del motorino. Mi arrangiai nell’aggiustarlo e finalmente, dopo aver rimontato tutto, presi il primo disco che mi capitò tra le mani per fare la prova di funzionamento. Da quel vecchio marchingegno cominciò ad uscire una magnifica melodia ed una voce altrettanto suadente. Una donna che aveva ben capito chi le offriva quell’omaggio floreale. Ormai era troppo tardi per il suo cuore, malridotto da quelle trascorse pene d’amore. E quindi ringraziò e passò oltre. Quella canzone e la sua interprete usciti come per magia da un ammasso di legno, acciaio e viti mi commosse al punto che alla domanda rispondo sicuro che mi piacerebbe collaborare con la grande Nilla Pizzi, se ciò fosse possibile. Sono interpreti di altri tempi che hanno la potenza di far provare brividi all’ascoltatore anche da un rottame di riproduttore.
C’è un suono, un rumore o un’atmosfera che ti ispira ricorrentemente e che ritorna nella tua produzione musicale?
Da buon chitarrista, adoro il rumore delle dita che scorrono sulle corde. Altresì mi piacciono tutti i rumori collaterali di un chitarrista acustico, voluti e non. I punti armonici, soprattutto se involontari, il knock sul legno, la corda che fa rumore sfiorando un’unghia. In “Lorenzo e la Luna” ho cercato di inserire più chitarre acustiche possibili: alla fine mi sono fermato a tre, le due laterali ed una centrale.
In un’epoca di ascolti rapidi e distratti, cosa credi serva a una canzone per lasciare davvero il segno oggi?
Oggi come nel passato, la canzone che trasmette emozioni è quella che lascia il segno. Il “Che anno è? Che giorno è?” di Battisti messo lì, dopo una pausa silenziosa a fine strofa, lui che esplode passando da tonalità minore alla maggiore con tutti gli arrangiamenti del caso e la sua voce graffiante, questo lascia il segno. Purtroppo è anche vero che per lasciare il segno occorre avere l’ascoltatore lì, sul divano, con le sue mega cuffie e senza distrazioni, mentre il mercato discografico richiede canzoncine idiote da sparare ogni volta che nella scatola ci sono meno di cento euro oppure quando tutta l’Italia balla con i cuoricini. Ovviamente queste canzoni lasciano solo molti guadagni fatti in poco tempo ma nulla nella storia della musica e delle canzoni. Spero solo che quando un cagnolino alzerà la gamba sulla mia lapide tante canzoni di colleghi sconosciuti, e magari qualcuna delle mie, verranno rivalutate e ci si ricorderà di chi si è emozionato nel comporle.