“Orbs” il nuovo EP del progetto Oneiros Way contiene 5 brani che esplorano passaggi tra stati di sogno e frammenti di consapevolezza. Le atmosfere cupe e i suoni distorti si mescolano a tensioni urgenti, componendo un insieme crudo e diretto che riflette sull’inquietudine del nostro tempo.

Come nasce il progetto Oneiros Way e quando avete capito che effettivamente avreste dovuto pubblicare musica vostra?
Ci siamo incontrati nel 2018, uniti da ascolti comuni e da una passione viscerale per il cinema. Le prime cose sono nate da jam tra voce e piano di Regina e i miei (Claudio) tentativi di destrutturare il tutto con beat, chitarre e synth un po’ naïf. Da lì sono venuti fuori pezzi come Raining Frogs e Alba, scritti con strumenti che sembrano usciti da un laboratorio vintage: Solina anni 70, MS-20 Korg, RX11, e altre macchine che pesano come piccoli pianeti.
La vera svolta, però è arrivata con Immersion e poi Mourning. Regina mi aveva passato dei sample molto scuri, synth e beat che avevano qualcosa di ipnotico. Dopo un po’ di gestazione ci siamo detti “Ok, forse questa roba può parlare a qualcuno anche se sarà una nicchia.” Da lì, l’idea di un progetto musicale legato fortemente a una visione cinematica, sia nel suono che nelle atmosfere.
E quando avete sentito parlare per la prima voglia degli “Orbs”? Che cosa hanno a che fare con tutti noi?
In realtà, io (Regina) la prima volta che ho sentito parlare degli Orbs avevo otto anni. Erano i primi 2000 e passavo ore a cercare online foto sgranate di fantasmi. Mi affascinava tutto quel mondo, i cimiteri, le presenze invisibili, i fenomeni inspiegabili. In mezzo a quelle immagini trovavo spesso queste sfere luminose sospese nell’aria che chiamavano Orbs. Nessuno sapeva davvero cosa fossero, alcuni dicevano spiriti, altri solo polvere e flash ma io le trovavo ipnotiche. Silenziose e cariche di significato. Col tempo, gli Orbs per me sono diventati altro, simboli di energie sottili, emozioni che fluttuano e attraversano i corpi, sogni che non svaniscono al risveglio. Ancora oggi, quando scrivo o canto, sento quelle stesse presenze. Come se fossero lì, a suggerirmi qualcosa.
Personalmente (Claudio), ho sempre avuto un approccio molto cerebrale, anche quando improvviso. Regina mi ha insegnato a passare attraverso il corpo, a scrivere con il sogno lucido, a usare il desiderio come materia creativa. È una forma di sopravvivenza dolce in una società che ti prosciuga. Gli Orbs sono flussi di energia in cui senti tutto allineato.
Milano è ancora una città che effettivamente ha da dare ai musicisti? Quali sono i luoghi che frequentate e che favoriscono lo scambio artistico?
Dopo la botta del Covid, sì, sta lentamente tornando. Frequentiamo spesso luoghi come Arci Bellezza, Tambourine, Santeria, Detune, Circolo Gagarin, Rock and Roll, CIQ, Mare Culturale Urbano…e tutte quelle realtà che nascono dentro processi di rigenerazione urbana. Quello che manca forse è la spontaneità dei centri sociali, di posti come Macao, che all’inizio per noi erano fonti enormi di ispirazione e libertà. Ma siamo fiduciosi, le cose si muovono ancora.
Qual è la vostra personalissima definizione di synth pop? Vi ritenete parte di questa enorme etichetta, oppure ci state solo per la semplicità del definirvi? Quali altri generi potrebbero rappresentarvi?
Il synth pop per noi è una sigla comoda ma ci sta stretta. Diremmo che è una zona liminale dove la macchina incontra il corpo, dove la melodia si sporca di rumore e le emozioni diventano pattern. Non ci interessa tanto il synth pop come genere ‘pulito’ o patinato, quello che ci affascina è il contrasto tra suono sintetico e vissuto umano.
Ci riconosciamo solo in parte, usiamo synth, sì, ma cerchiamo un suono che spesso è più oscuro, cinematico e destrutturato. A volte è pop solo perché una melodia ti rimane addosso. A volte no, ed è giusto così. Le nostre radici affondano anche nell’electro-industrial, nel noise e nella musica da film. E poi c’è la voce di Regina, che viene da altrove e trasforma tutto. Ci piace tutto ciò che vibra in modo autentico, Luis Vasquez (The Soft Moon) per noi è stato un faro. Una perdita enorme.
E come sta andando il vostro 2025?
Sta andando bene, è un anno di transizione e di consolidamento. Stiamo lavorando a nuovi pezzi, cercando suoni che siano contemporanei ma che restino anche profondamente nostri. La collaborazione con Cristiano Santini per noi è stata un momento importante, una conferma e una spinta a fare ancora meglio. In fondo, è l’anno in cui alcune visioni iniziano finalmente a prendere forma concreta.
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