Recensione: Limarra – “Cosa Resterà”

Limarra
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Confesso: mi sono avvicinata a Cosa Resterà un po’ per caso, un po’ per curiosità. Conoscevo Limarra di nome, ricordavo i Baciamolemani da qualche festival di un’altra era, ma non avevo ancora ascoltato nulla della sua carriera solista. Poi è bastato premere play. E restare.

Perché Cosa Resterà non ti chiede attenzione: la merita. È un disco che non insegue le tendenze, non rincorre l’algoritmo, e forse proprio per questo riesce a parlare con una voce autentica. Nove brani che suonano come un diario scritto senza fretta, con suoni caldi, un’estetica sobria ma curata, e parole che — finalmente — non hanno paura di restare sospese.

Il disco si muove tra funk sottotraccia, world music, ballate acustiche, con arrangiamenti mai ingombranti e una produzione che lascia respirare ogni strumento. Tony Canto, in regia, fa un lavoro prezioso: crea spazi. Il risultato è un suono che ti viene incontro, senza spingere. Nessuna pretesa di colpire al primo ascolto: questo è un album che si fa conoscere per gradi. E quando lo fa, difficilmente si dimentica.

I momenti da segnare? Sicuramente Abbi Cura, il brano più intimo, quasi una preghiera mormorata a se stessi. Poi Non è mai tardi, dove il tempo diventa materia emotiva, qualcosa con cui fare pace. È Terribile, con il featuring di Shebab Lou Bandy, porta una ventata urbana che sorprende senza stonare, e la cover di Povera Patria (Battiato) riesce nell’impresa non banale di non sembrare una forzatura: è un omaggio sentito, ma personale, con l’aggiunta evocativa del Xaphoon di Fabio Sodano.

Il filo che tiene tutto insieme, però, è la voce di Limarra. Non tanto per estensione o virtuosismo, quanto per intenzione. Si sente che ogni parola è lì perché doveva starci. Niente posture da cantautore che ti spiega il mondo: più che altro, un uomo che lo osserva, lo vive, e lo restituisce com’è — a volte fragile, a volte disilluso, ma sempre degno di essere raccontato.

Cosa Resterà è un disco che parla del tempo, di cosa resta davvero quando i riflettori si spengono. Ma senza malinconie inutili. È un lavoro maturo, fatto da un artista che sa esattamente cosa vuole dire — e sceglie di farlo con pudore, ma anche con coraggio.

In un panorama musicale dove tutto corre, fa rumore, e poi scompare, Limarra sceglie l’opposto: restare, con discrezione. E il bello è che ci riesce.