Dal successo di “Estrella en el mar” al Premio Aniello De Vita, i Porto Raro hanno costruito un percorso originale e coerente. “The End Of Summer Days” rappresenta un ulteriore passo nella loro esplorazione musicale.

Guardando ai vostri lavori precedenti, cosa pensate sia cambiato nel vostro approccio alla scrittura musicale?
Il nostro approccio alla scrittura è stato quasi sempre lo stesso. Il suono è l’Arché filosofico di Porto Raro.
Riteniamo che il suono sia una delle forme narrative più forti e da lì iniziamo a collegare istanti e momenti della nostra vita parlandone per trasformarli poi in ciò che avete ascoltato.
Di sicuro abbiamo migliorato alcuni aspetti tecnici legati alla produzione di un brano, al modo di eseguirlo e di registrarlo con l’obiettivo di evocare nell’ascoltatore una certa emozione, ma dal punto di vista musicale il nostro approccio è rimasto sempre lo stesso.
La tecnica viene intesa dunque come un mezzo per avvicinarci ad un’emozione precisa. Tutto nasce sempre da un momento in cui entrambi abbiamo bisogno di cercare bellezza.
Come influenzano la vostra creatività i luoghi in cui vi trovate o le città in cui vivete?
I luoghi in cui viviamo e quelli che attraversiamo lasciano un segno profondo nel nostro modo di scrivere. Non sono semplici coordinate geografiche, ma spazi emotivi che finiscono per modellare le canzoni. A volte è il mare, altre una strada qualsiasi, un quartiere, o un’immagine colta al volo: tutto può diventare un punto di partenza. Dentro la musica confluiscono le nostre giornate, i gesti ripetuti, le assenze, le distanze che impariamo a portare con noi. È lì che si forma il nucleo emotivo dei brani, qualcosa di grezzo che poi cerchiamo di trasformare in suono e parole. Scrivere, per noi, è un modo per dare una forma diversa a ciò che ci circonda, per trovare una luce anche nelle cose più ordinarie. In “Zero” non c’è solo il nostro Cilento: c’è l’Andalusia, Napoli, il Nord Europa, l’America, luoghi in cui abbiamo vissuto e persone che abbiamo incontrato.
Avete mai inserito un dettaglio sonoro o strumentale solo per il piacere di sperimentare, senza finalità narrativa?
In realtà no. Per noi la sperimentazione non è mai un punto di partenza, semmai un passaggio successivo.
Prima viene il racconto, l’urgenza di dire qualcosa, e solo dopo arrivano le scelte sonore. È probabilmente questo equilibrio che ci ha fatto sentire davvero a casa nel nostro primo lavoro discografico.
Porto Raro nasce da un bisogno autentico di espressione, prima ancora di pensarsi come progetto pubblico.
I brani esistevano già, poi sono arrivati i concerti, le uscite, la dimensione condivisa. Proprio perché non c’erano aspettative esterne o la necessità di aderire a un’idea di mercato, non abbiamo mai sentito il bisogno di aggiungere elementi “per riempire”.
Ogni suono ha un peso emotivo preciso: è qualcosa che ci appartiene, che racconta un momento, uno stato d’animo, un respiro. Nulla è lì per caso, tutto nasce da quello che siamo stati in quel preciso istante.
Ci sono collaborazioni o artisti con cui sognate di lavorare in futuro per ampliare il vostro sound?
Sarebbe molto bello poter scrivere qualcosa con Daniela Pes, Andrea Laszlo De Simone, Alessandra Tumolillo, Iosonouncane, artisti capaci di dare vita ad una visione e ad una storia e che fanno moltissima ricerca sonora!






