“Estirpe”, fuori il concept album di berekekê

Siamo soli nell’universo? È una domanda che accompagna l’umanità fin dalla notte dei tempi e che, ancora oggi, non ha trovato una risposta definitiva. Attorno a questa incertezza si sono sviluppate teorie, speculazioni e visioni alternative della nostra origine. Una delle più affascinanti — e inquietanti — è quella secondo cui la civiltà umana sarebbe stata creata da entità extraterrestri.

È da questa ipotesi che prende forma “Estirpe”, l’ultimo concept album di berekekê, visionario compositore spagnolo di Cádiz, un’opera articolata in 12 tracce che immagina un futuro distopico in cui i presunti “creatori” tornano sulla Terra per reclamare ciò che considerano loro. Non una semplice invasione aliena, ma un ritorno, una resa dei conti su un pianeta ormai al collasso.

Il disco racconta un vero e proprio scontro tra umanità e civiltà extraterrestri, sviluppato attraverso una narrazione musicale che alterna dimensioni sinfoniche ed elettroniche, orchestrazioni cinematografiche, frequenze profonde e suoni sperimentali. L’ascolto si trasforma così in un’esperienza immersiva, più vicina a una colonna sonora che a un album tradizionale.

La struttura dell’opera segue un ordine cronologico preciso. L’apertura è affidata a “Estación destino: kab’an”, dove kab’an — termine della civiltà azteca per indicare la Terra — segna l’inizio del viaggio dei visitatori extraterrestri. È un brano epico, solenne, che introduce subito la dimensione cinematografica dell’intero progetto.

Con “Vocal training” gli alieni cercano di comprendere l’essere umano attraverso un addestramento vocale, mentre “Divertimento para cámara y androide” aggiunge una parentesi apparentemente giocosa, fatta di nacchere, voci metalliche e suoni robotici, come se l’umanità fosse osservata con curiosità e distacco.

Il clima cambia radicalmente con “Más que cadenas”, dove emerge l’idea della sottomissione forzata, seguita dall’atmosfera fredda e sperimentale di “Invernadero de plantas cibernéticas”, che affonda le radici nella musica contemporanea e nell’elettronica più astratta.

Uno snodo centrale dell’album è “Sofía: la narradora”. Sofia non è una figura umana, ma un’intelligenza artificiale, un’entità sintetica incaricata di raccontare e interpretare la vita dell’umanità: emozioni, amore, gioia, stupidità, contraddizioni. È uno sguardo esterno, lucido e impersonale, che osserva l’essere umano come un esperimento ormai giunto al limite.

Con “Ágoras abisales” l’album si sposta in un ambiente ancora più alieno: una ricostruzione della vita extraterrestre negli abissi oceanici, come se intere città fossero sorte nelle profondità marine. Il suono denso e ovattato richiama la sensazione di una muta subacquea, dove tutto rimbomba e perde contorni definiti.

“Trans-fusión” rappresenta un recupero significativo: è l’adattamento di un brano più antico di berekekê, mai pubblicato in precedenza, rielaborato e inserito nel contesto narrativo di Estirpe come momento di transizione e metamorfosi.

Segue “Laboratorio de experimentación e hibridación genética”, una delle tracce più inquietanti: un laboratorio sonoro in cui si simula il processo di adattamento genetico degli alieni all’ambiente terrestre. Il ritmo pulsante richiama un battito cardiaco, simbolo di vita ma anche di trasformazione forzata.

Con “Yo fui, yo soy” l’album torna alla domanda originaria, rivolgendosi direttamente ai “creatori”: chi siamo stati, chi siamo diventati, e quale posto occupiamo nell’universo. È uno dei momenti più concettuali e riflessivi del disco.

Il finale si fa tragico. In “Memento mori” gli alieni comprendono che l’umanità non è solo un ostacolo, ma una minaccia. La resistenza umana rende inevitabile la distruzione. Nell’ultima traccia, “Argonautas fugitivos sobrevolando Perseidas”, solo pochi esseri umani riescono a fuggire, lanciandosi nello spazio alla ricerca di una nuova possibilità di sopravvivenza.

Estirpe non è un ascolto immediato né rassicurante. È un’opera ambiziosa, concettuale, che utilizza la fantascienza come lente critica per osservare l’umanità, le sue origini e il suo possibile destino. Un album che non cerca risposte semplici, ma pone domande scomode, lasciando all’ascoltatore il compito di affrontarle.

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berekekê è un compositore e musicista spagnolo di Cádiz che ha costruito il proprio percorso lontano da mode e circuiti commerciali, privilegiando una ricerca sonora autonoma e coerente. La sua formazione, solida e stratificata, affonda le radici nella musica classica e si espande verso la composizione contemporanea, l’orchestrazione e il sound design, dando forma a un linguaggio personale e riconoscibile.

Multi-strumentista, pianista e arrangiatore, ha attraversato contesti musicali molto diversi — dalla musica d’insieme al teatro, fino alla produzione indipendente — sviluppando una scrittura che mette al centro il contenuto espressivo più che la forma. La sua carriera si distingue per una scelta precisa: rimanere indipendente, pubblicando una discografia ampia e fuori dagli schemi del mercato.

La musica di berekekê si muove tra classica contemporanea, world music e sperimentazione, con un approccio che privilegia l’ascolto attento e la profondità emotiva. Più che cercare consenso immediato, l’artista propone un’esperienza sonora consapevole, spesso concettuale, che invita a un rapporto intimo e riflessivo con il suono.