“Emilia Cowboy” dei Fattore Rurale: un album che affronta la complessità dell’animo umano

Fattore rurale

“Emilia Cowboy” si presenta come una mappa emotiva in otto tappe. Si parte con la title track, un viaggio nell’anima tra dolore e amore, per poi affrontare la necessità di non fuggire dalle sofferenze in Rispetta il dolore. La stagione del veleno è una saggia accettazione del fluire del tempo, mentre Gli spiriti della foresta rende omaggio all’eroe ribelle e alla lotta per la libertà. La seconda metà del disco è più introspettiva: da Revolver (critica sociale) a Codardo (egoismo relazionale), per poi esplodere nell’amore passionale di Fulmini. La chiusura, Prendimi e portami via, è una riflessione sulla vita e sulla morte che esorta a vivere appieno. Un percorso catartico e completo.

Il titolo dell’album è “Emilia Cowboy”, un’immagine che fonde un immaginario rurale/americano con il contesto specifico della vostra terra. In che modo il concetto del “dualismo tra bene e male” e il motto “Morte Amore Desolazione” trovano sintesi in questa figura dell’ “Emilia Cowboy”?

Le nostre vite sono appese a un filo, come direbbe Vasco “La vita è un brivido che vola via”. Nella periferia come nel vecchio west, la vita decide per te, portandoti faccia a faccia con il bene e il male, con la Morte, l’Amore e la Desolazione.

La vostra missione è “entrare dentro le persone, senza lasciare spazio alle menzogne” e “custodire in eterno le loro urla”. Emilia Cowboy è definito come un invito ad accettare la complessità della natura umana, vivendo “sia nella luce che nelle tenebre”. Qual è la menzogna più grande che, secondo voi, l’uomo moderno si racconta per fuggire dalla propria natura?

Bellissima domanda, la menzogna più grande che l’essere umano si racconta è di non essere colpevole.

Il vostro sound è il punto d’incontro tra il “country/blues americano” e la “verità distorta delle campagne piacentine”. Come siete riusciti a fondere l’epica malinconica di artisti come Johnny Cash e Bruce Springsteen con la narrativa di Guccini e Vasco Rossi, mantenendo al contempo una sonorità “viscerale” e autentica?

Io non so’ se ci siamo riusciti e forse non è neanche così importante. Quello che è davvero importante è fare arte con sincerità e su questo ci metto la mano sul fuoco. Hai citato dei miei modelli di vita, non solo per quello che fanno ma per quello che sono, se riuscissi a fare anche solo una piccolissima percentuale di quello che loro hanno fatto per le persone, riposerei in pace.

Tracce come “Rispetta il dolore” e “La stagione del veleno” affrontano il tema della sofferenza e dell’accettazione del tempo. In particolare, “Rispetta il dolore” parla di accettare le colpe e di come “il ricordo è un coltello che punta dritto al cuore”. Quanto è stata catartica la scrittura di questo brano rispetto al processo di accettazione delle proprie cicatrici?

Ad ogni domanda ti ringrazio, perché sono domande che mi scatenano altre domande, un processo continuo di evoluzione. Ad oggi, ti rispondo che è stata fondamentale, perché mi ha permesso di superare una fase, mi ha permesso di morire e rinascere, ancora.

“Gli spiriti della foresta” è un brano che si ispira all’eroe ribelle Ned Kelly, lottando per la giustizia e contro l’oppressione. In un album così introspettivo, perché la figura di Kelly è stata scelta come metafora per veicolare l’esigenza comunicativa alla base del progetto Fattore Rurale?

Ned Kelly ha avuto il coraggio di prendere in mano le vite dei suoi simili e sfidare il potere. Ha avuto il coraggio di non sottostare ai soprusi, per difendere i diritti degli ultimi. Ma soprattutto, una volta sconfitto e ucciso, ha accettato il suo destino, pronunciando testuali parole prima di essere impiccato: così è la vita. Da ultimi quali siamo, non possiamo che dire grazie a una figura così importante. Se mi guardo dentro, con un processo di introspezione onesto e sincero, realizzo che è fondamentale la sua figura perché ci insegna a non abbandonare chi sta per morire e non ha la forza di andare avanti.

Temi oscuri e di critica alla superficialità sono molto presenti in brani come “Revolver” (“la vita è fragile e che ogni giorno può essere l’ultimo”) e “Codardo” (sincerità e egoismo nelle relazioni). Come si inserisce una canzone d’amore intensa e passionale come “Fulmini” in un contesto così crudo, e cosa rappresenta l’amore in questo ciclo di “eterno ritorno” che ispira l’album?

Su Fulmini vorrei non dare tante spiegazioni, perché questa canzone arriva in un momento ben definito dell’album e vorrei che l’ascoltatore traesse le sue conclusioni.

L’album si chiude con “Prendimi e portami via”, che riflette sulla morte come processo che inizia con la nascita, esortando a vivere ogni giorno al massimo. Considerando il forte leitmotiv della morte nell’album, qual è il messaggio finale che volete lasciare all’ascoltatore riguardo al valore del presente?

Il tempo è un cerchio piatto.

La band sottolinea la propria “formazione in continua evoluzione”. Il disco ha visto la partecipazione di diversi collaboratori, come James Prosser e Giovanni Sala. In che modo il contributo di queste personalità esterne ha plasmato e affinato la sonorità finale di Emilia Cowboy rispetto ai lavori precedenti?

Tutto si è incastrato perfettamente senza bisogno di parole superflue, la loro forza è stata esaltare artisticamente il nostro progetto senza modificarlo di una virgola. Io ti ringrazio molto per queste domande, veramente stimolanti. Speriamo ci sia modo un giorno, di poter parlare con più tempo e sviscerare ancora di più quello che siamo.