Alessia Scilipoti, flautista e interprete appassionata di musica contemporanea, ci racconta il suo percorso tra esperienze formative, riflessioni sul ruolo delle donne nella musica e la nascita del suo nuovo album Fragile. In questa intervista emerge la sua visione della musica come strumento di emozione e condivisione, capace di raccontare storie e sensazioni senza limiti di genere o di stile. Alessia parla di identità artistica, perseveranza e di come il confronto con se stessa durante la registrazione dell’album abbia segnato una crescita personale e professionale, raccontandoci anche le strategie per avvicinare nuovi pubblici a un repertorio spesso considerato complesso.

Intervista
Nel panorama musicale contemporaneo, si parla spesso di una sotto-rappresentazione femminile. Secondo te, perché ci sono ancora così poche donne protagoniste della scena musicale?
Le donne nella musica ci sono sempre state, spesso con idee geniali e una sensibilità fuori dal comune. Proprio di recente leggevo il libro di Federico Maria Sardelli, che racconta — con capitoli tra realtà e immaginazione — la storia di Lucietta, organista di Vivaldi. È un esempio emblematico di quante musiciste abbiano lavorato nell’ombra, perché la loro presenza non era socialmente accettata. Oggi la situazione è migliorata, certo, ma il fatto stesso che ci poniamo ancora questa domanda dimostra che il problema non è risolto. E trovo paradossale che nella musica, un mondo in cui la non competenza si rivela immediatamente, ci sia ancora il bisogno di rivendicare spazio per un genere invece che giudicare solo il valore artistico.
Durante i tuoi studi e la tua formazione musicale, hai avuto esperienze dirette di disparità di genere? In che modo ti hanno influenzata come musicista e come artista?
Nei miei 25 anni ho vissuto molte esperienze di selezione, concorsi, audizioni… ma non ho mai subito, in prima persona, una disparità di genere esplicita. Rifletto però quando, nelle file dei fiati delle orchestre, vedo così poche donne: il dato parla da sé. Quello che ho imparato è che giudicare la musica — e chi la suona — non è semplice: non è misurabile, né oggettivo. Capita spesso di essere scartati per motivazioni poco credibili o poco condivisibili: per alcuni sei “troppo giovane”, per altri “troppo grande”, per altri ancora la lunghezza dell’ultima nota era «troppo lunga»… La conclusione per me è molto chiara: crescere, coltivare le proprie idee musicali, ampliare il proprio bagaglio culturale, studiare moltissimo e non cercare né di imitare altri né di compiacere qualcuno. L’unica strada possibile è ricercare e proporre la propria identità artistica.
Il tuo nuovo album segna una fase importante della tua carriera. Quali temi e messaggi volevi comunicare attraverso questo lavoro?
Fragile racconta emozioni attraverso parole e suoni. Il mio desiderio era avvicinare le persone, incuriosirle nel sentire un flautista che recita, invitarle a fidarsi e a lasciarsi andare a un ascolto che coinvolgesse non solo le orecchie, ma anche l’anima e il corpo. Vorrei ridurre il timore che molti hanno verso la musica contemporanea: dimostrare che è ancora capace di narrare, emozionare, accendere immaginazione. Bisogna solo fermarsi, respirare e fidarsi.
Ci puoi raccontare qualche aneddoto o momento significativo legato alla produzione dell’album, che per te rappresenta un passaggio fondamentale nella tua crescita artistica?
Fragile è stato un grande passo per me, nato poco a poco nella mia testa, senza una programmazione rigida all’inizio. La vera novità è stata suonare per dei microfoni, affrontando quella ricerca di perfezione che una registrazione discografica inevitabilmente richiede. Riascoltarmi per scegliere le take finali è stato forse il passaggio più faticoso: un confronto continuo con se stessi, con ogni dettaglio. Confesso che una volta ultimato tutto, non ho avuto il coraggio di riascoltare il disco finché non ho letto le prime recensioni e commenti da conoscenti dopo la pubblicazione.
Oltre all’uscita dell’album, quali iniziative stai portando avanti per promuovere la tua musica e raggiungere nuovi pubblici?
Vorrei portare Fragile Live a più persone possibili, soprattutto a chi è meno abituato al linguaggio contemporaneo. Per questo nei concerti ci sarà una voce recitante che introdurrà le poesie prima dell’esecuzione: un modo per predisporre l’ascolto, per creare un ponte. Sto allargando anche il repertorio: esiste una quantità sorprendente di composizioni che intrecciano flauto e poesia, dalla musica antica alla contemporanea.
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