
Pubblicato il 24 ottobre, questo album si è imposto come una delle riflessioni più complesse e musicalmente stratificate degli ultimi tempi. È un’opera che vive di conflitti, di dualità irrisolte, di ossimori sonori e lirici. Non è un caso che il suo titolo, “Unsapiens”, sia la contraddizione per eccellenza: la specie che si definisce “Saggia” (Sapiens) e che, nei fatti, dimostra il contrario. L’intero disco non fa che esplorare questa tesi, applicandola a ogni aspetto della nostra vita: dall’identità al lavoro, dalla cultura alla società.
La prima grande contraddizione è quella sonora. L’architettura musicale è innegabilmente internazionale. Le ritmiche sono prese di peso dal neo-soul e dal nu-jazz londinese, con giri di basso profondi, sincopati, e chitarre funk eleganti (come in “6 VESTUTO A 8” o “MA CHE MARONN”). È un sound notturno, urbano, globale. Ma questo veicolo sonoro, sofisticato e levigato, viene messo al servizio della lingua più viscerale, terrena e storicamente “locale” che ci sia: il napoletano. Non è una fusione pacifica; è uno scontro cercato, una tensione costante tra un’anima globale e radici profonde, che genera un’energia unica.
Questa dualità sonora riflette quella tematica. L’album è un costante dialogo tra apparenza e realtà. La copertina stessa—una foto d’infanzia innocente “vandalizzata” da scritte—pone il problema: chi siamo contro chi sembriamo? “6 VESTUTO A 8” (con Greg Rega) è il manifesto di questa ipocrisia: un brano dal groove solare e quasi festoso, che però descrive il vuoto di chi “è un sei vestito da otto”.
L’esatto opposto di questa apparenza è la realtà descritta in “L’ARTISTA IMPIEGATO”. Qui la musica si fa scura, malinconica, quasi Lo-Fi, per raccontare una verità scomoda: la precarietà di chi crea. L’artista non è il sognatore ritratto dalla società, ma un lavoratore che si alza all’alba e si destreggia tra “due o tre fatiche” per poter scrivere. L’album mette in scena la tragedia di una società che premia l’apparenza vuota di “6 VESTUTO A 8” e punisce la sostanza sudata de “L’Artista Impiegato”.
Questa schizofrenia si ritrova anche nell’identità culturale. Lo skit “PE VIAGGIÁ” (che campiona Massimo Troisi) smonta la contraddizione dell’emigrante: il mondo lo vede come un “disperato” che fugge, ma la realtà è quella di un “viaggiatore” mosso da curiosità. È la stessa contraddizione di “TERRA SANTA”, un brano hip-hop cupo e fiero: la terra del Sud non è lo stereotipo (“pizza e d’o sole”), ma un luogo sacro, complesso e ferito, che rivendica i suoi martiri (Giancarlo Siani).
Infine, l’album chiude il cerchio tornando alla contraddizione più grande, quella della title track. Attraverso i campionamenti dello scienziato Telmo Pievani, il disco ci dice che tutti questi conflitti (sociali, personali, culturali) sono figli di un’unica, grande schizofrenia: quella di una specie che si crede saggia, ma vive da “Unsapiens”. Un disco che non dà risposte, ma costringe a guardare le nostre fratture.





