Intervista con il cantautore Roberto Montisano

Roberto Montisano è un cantautore che da sempre intreccia musica e memoria, trasformando emozioni personali in racconti universali. Tra Italia e Portogallo, la sua scrittura esplora malinconie sospese, ricordi che si sedimentano e sensazioni che restano come impronte nel tempo. Il suo suono, volutamente grezzo e autentico, accoglie imperfezioni e vibrazioni che raccontano ciò che spesso sfugge alle parole. Con il nuovo EP Respirare la Polvere e il singolo Saudade di Te, Montisano invita l’ascoltatore a respirare i ricordi, a guardare la propria vita con tenerezza e a scoprire come la nostalgia possa diventare motore creativo e personale.

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“Saudade di Te” esplora la nostalgia come una presenza costante piuttosto che come una ferita. Come definiresti la tua relazione personale con la nostalgia e in che modo essa influenza la tua scrittura musicale?

Forse la descriverei come un motore. È quella spinta che muove tutto a volte, che fa nascere le cose, anche le canzoni. Non la vivo come rimpianto, ma come una malinconia viva, che tiene insieme ciò che è stato e ciò che sarà. Nella vita e nella scrittura può farmi da bussola ogni tanto.

Nel tuo prossimo EP, “Respirare la Polvere”, parli di esperienze che si sedimentano nel tempo. Quali sono alcuni dei ricordi o delle sensazioni che senti siano rimasti impressi nella tua memoria e che desideri condividere attraverso la musica?

In “Respirare la Polvere” parlo di relazioni, in tutte le loro forme: quelle romantiche, familiari o anche solo di una parte di sé. Mi piace pensare che chi ascolta possa riconoscersi nella sensazione sospesa del guardare i propri ricordi con tenerezza, non con dolore. Sono le tracce che restano, come impronte nel tempo.

Vivi tra l’Italia e il Portogallo, due paesi ricchi di tradizioni culturali e musicali. In che modo queste due realtà influenzano la tua musica e la tua identità artistica?

Italia e Portogallo si intrecciano continuamente nella mia identità. Ci sono punti di contatto, ma anche tante differenze che si arricchiscono a vicenda — anche grazie all’influenza brasiliana. Oltre alla musica, anche la letteratura è un ponte: penso a Tabucchi e a Lobo Antunes, che amo molto. In entrambi ritrovo quella malinconia lucida che cerco anche nei miei pezzi.

Il tuo suono è descritto come “volutamente grezzo”, come una demo mai finita o una confessione che sfugge di mano. Cosa intendi con questa definizione e come si riflette nel processo creativo delle tue canzoni?

Quando dico “volutamente grezzo” penso a un suono che non vuole essere perfetto, ma vero. A volte le chitarre sembrano quasi sgretolarsi, come se arrivassero da lontano, dal passato forse. È una ricerca del suono che accoglie le imperfezioni, le lascia vibrare come un’eco che racconta qualcosa che a volte è inafferrabile.

“Respirare la Polvere” è un titolo evocativo che suggerisce riflessioni sul tempo e sull’esperienza. Cosa rappresenta per te la “polvere” e come pensi che essa possa essere respirata attraverso la musica?

La “polvere” per me è la metafora perfetta delle nostalgie e dei ricordi che non si cancellano, ma si mescolano al presente. È qualcosa che si posa piano, che respiri senza accorgertene, e che finisce per far parte di te. Non la vedo come qualcosa da rimuovere, ma da accettare — come i ricordi che continuano a sedimentare dentro di noi e che, attraverso la musica, tornano a prendere vita, a muoversi nell’aria.