Il duo Modivari torna con “Isidora”, un singolo che si muove tra alternative indie ed evocazione cinematografica. Al centro, una storia d’amore immaginata e totalizzante, raccontata con una scrittura visiva e immersiva. Le sonorità si fanno dense: chitarre elettriche avvolgenti, inserti di mellotron e una produzione che richiama il fascino dell’analogico. Un viaggio tra emozioni e illusioni, tra bellezza e perdita di confini. Li abbiamo intervistati per capire cosa si nasconde dietro questa visione sonora.
“Isidora” mescola chitarre elettriche, mellotron e atmosfere sognanti: come avete costruito questo sound sospeso?
Con curiosità e voglia di camminare su territori poco esplorati. Come persone ci sentiamo effettivamente sempre in bilico tra realtà e sogno, infatti la sfida è quella di costruire una sonorità saturata ma allo stesso tempo «dreamy», che è praticamente l’opposto. Speriamo di poterci riuscire!
L’uso dell’analogico ha un ruolo chiave: cosa cercavate di evocare con questa scelta timbrica?
Il nostro produttore, Matteo Bottini, ha attivato un saturatore analogico durante la registrazione delle voci. L’influenza principale per questa scelta è stata sicuramente quella dei Beatles, che all’epoca riuscivano a ottenere una saturazione naturale semplicemente registrando su nastro magnetico a livelli elevati. Più che un effetto, volevamo suscitare un’emozione profonda e struggente.
C’è stato un momento in cui la canzone ha cambiato direzione in studio?
Lo sviluppo dell’arrangiamento è stato piuttosto lineare perché abbiamo portato in studio ciò che già facevamo dal vivo con la nostra band (Nicolò Farfante al basso e Matteo de Cubellis alla batteria); forse il vero turning point per il brano è stato quello di lasciarsi trasportare dal drumming propulsivo di Matteo, visto che la versione primordiale di Isidora era piuttosto tranquilla.
Quali influenze musicali vi hanno accompagnato nella creazione di “Isidora”?
La saturazione rappresenta il ponte sonoro tra i nostri mondi individuali, è un qualcosa di intenso che si sta “rompendo” in un certo senso perché “troppo”; ci siamo appassionati ai Big Thief, ai Wilco, ai Neutral Milk Hotel ma anche alla stravaganza di Patrick Watson.
Che tipo di viaggio emotivo sperate faccia l’ascoltatore quando preme “play” su questo brano?
Ci piacerebbe che fosse un’esperienza immersiva per chi ascolta, in cui perdersi e ritrovarsi più volte e scoprire una visione soggettiva dell’amore.







