C’è chi pubblica canzoni, e chi costruisce un dialogo. Limarra appartiene alla seconda categoria. Con Cosa Resterà, il suo nuovo progetto, sceglie di rallentare, scavare, rimanere fedele a ciò che sente anche quando il mercato spinge altrove. In questo disco non c’è sovrastruttura, ma una ricerca paziente della verità emotiva: brani che parlano di solitudine, fragilità, tempo e cura — senza retorica, senza maschere.
In Abbi Cura affronti la solitudine e la fragilità con delicatezza. Sono sentimenti che appartengono solo all’artista o anche all’uomo Limarra?
Solitudine e fragilità non sono sentimenti che mi appartengono soltanto in quanto artista, ma anche come persona. Abbi Cura nasce proprio dal bisogno di dare voce a quelle parti di me che spesso restano in ombra, ma che sono fondamentali per capire chi sono davvero. Non c’è una linea netta tra la mia quotidianità e ciò che scrivo: la Musica è il luogo in cui posso accogliere tutto, anche le mie insicurezze, senza filtri. Credo che la fragilità sia una forza gentile, un modo sincero di stare al mondo, e la solitudine, se attraversata con consapevolezza, può diventare uno spazio prezioso in cui ritrovarsi.
Questo singolo è una ballata intensa ma anche molto curata nella produzione. Com’è nato il brano dal punto di vista musicale?
Abbi Cura è nata quasi in punta di piedi, con pochi accordi suonati al pianoforte in un momento di silenzio. Volevo che la musica fosse al servizio del testo, che accompagnasse l’intimità delle parole senza sovrastarle. Con Tony Canto (che ne ha curato il vestito) abbiamo lavorato tanto sugli arrangiamenti, proprio per trovare un equilibrio tra delicatezza e profondità: suoni caldi, strumenti suonati acustici e nessuna fretta. Ogni elemento, dal basso morbido ai tocchi di chitarra, è stato scelto per creare un’atmosfera accogliente, quasi come un abbraccio. Non cercavo l’effetto, ma la verità del suono, abbiamo fatto in modo che in studio ogni scelta risuonasse seguendo il “ritmo” del brano.
In che fase della tua vita artistica e personale è nato Cosa Resterà?
Cosa Resterà è nato in una fase di passaggio, sia personale che artistica. Era un momento in cui sentivo il bisogno di rallentare, di dare spazio al silenzio e di ascoltare davvero cosa stava succedendo dentro di me. Dopo anni in cui avevo cercato di tenere tutto insieme — aspettative, impegni, sogni — ho sentito che era arrivato il tempo di fare pulizia, di guardarmi con onestà, anche nelle parti più fragili. A livello artistico, questo disco rappresenta un ritorno all’essenziale: scrivere senza filtri, produrre con attenzione ma senza sovrastrutture, cercare la verità più che la perfezione. È un album che mi somiglia molto, forse più di altri, perché è nato mentre cercavo di capire non solo cosa resterà della mia musica, ma anche di me stesso.
Nel disco hai scelto sonorità nuove rispetto ai tuoi lavori precedenti. Cosa ti ha spinto a cambiare direzione?
Il cambiamento nelle sonorità è nato in modo naturale, quasi inevitabile. Sentivo che per raccontare davvero quello che stavo vivendo, avevo bisogno di una veste sonora diversa, più intima ma anche più calda, più organica. Ho voluto lasciare spazio agli strumenti suonati, alla mia voce, imperfetta ma vera. Mi sono lasciato guidare dalla curiosità, dalla voglia di esplorare territori nuovi, senza l’ansia di dover “suonare come prima”. È stato un processo liberatorio: non inseguire un’estetica precisa, ma lasciare che fosse il contenuto a suggerire la forma. In fondo, cambiare suono per me ha significato cambiare pelle, ma restando fedele a ciò che mi muove dentro.
Dicevamo prima: hlavorato di nuovo con Tony Canto. Come si è evoluta la vostra collaborazione per Cosa Resterà?
Lavorare con Tony Canto è stato come “ritrovare” una lingua comune, una sintonia che, nel tempo, è cresciuta e si è evoluta. Con Tony c’è una complicità che va oltre la semplice collaborazione: è un dialogo continuo, dove ci si capisce anche con un silenzio. Per Cosa Resterà abbiamo cercato di esplorare nuovi suoni e nuove atmosfere senza perdere di vista l’essenza di quello che volevamo comunicare. Tony ha un approccio molto intuitivo e sensibile, che riesce a tradurre in suoni e arrangiamenti ciò che sento dentro. La sua supervisione ha dato al disco quella profondità che cercavo, ma anche quella leggerezza che serve per far risuonare la musica in modo autentico. La nostra collaborazione si è evoluta in un processo quasi alchemico, dove ogni idea, ogni traccia, è stata il risultato di una riflessione condivisa e di un continuo scambio.
Che ruolo ha la Sicilia nella tua musica oggi, rispetto agli esordi con i Baciamolemani?
La Sicilia ha sempre avuto un ruolo centrale nella mia musica, ma il modo in cui la vivo e la racconto è cambiato nel tempo. Con i Baciamolemani, la Sicilia era una sorta di radice visibile, un richiamo forte alla tradizione, con un suono che mescolava la vivacità delle nostre tarantelle, del folk siciliano, con influenze globali, creando un ponte tra passato e presente. Era un mondo musicale ricco di energia, di colori, di suoni che riflettevano la bellezza e le contraddizioni della mia terra. Oggi, con il mio progetto solista, la Sicilia è presente in modo più intimo e riflessivo: non parlo più tanto della Sicilia “da raccontare” o delle sue immagini iconiche, ma di un legame più profondo, che si fa sentire nell’approccio alla musica e nelle atmosfere che scelgo. È diventata parte della mia interiorità, un punto di partenza per un viaggio più personale. Anche se la mia musica può sembrare più intima rispetto alle mie vecchie produzioni, la Sicilia è sempre lì, come una parte di me, che pervade le mie melodie e i miei testi, pur non essendo più il fulcro evidente del racconto.
C’è un brano del disco che ti ha messo particolarmente alla prova in fase di scrittura o produzione?
Il brano in cui ho speso più energie in fase di scrittura e produzione è stato Non è mai tardi. Il tema della canzone, che ruota attorno al legame tra il Tempo e l’Amore, e alle opportunità che non svaniscono mai del tutto (e che latenti ci ricordano appunto che “non è mai tardi” e mai lo sarà), mi ha spinto a esplorare un equilibrio tra speranza e consapevolezza. Scrivere questo brano non è stato semplice perché volevo che ogni parola fosse una sorta di invito, ma anche un monito. Musicalmente, ho cercato di creare un’atmosfera che si posasse a metà strada tra il “malinconico” e il “motivante”, una tensione emotiva che fosse percepibile sin dalla prima nota. Il processo di arrangiamento è stato delicato: ci sono stati momenti in cui sentivo che la canzone rischiava di diventare troppo pesante o troppo solenne, ma alla fine, proprio nella ricerca di quella delicatezza, ho trovato la giusta direzione.






