Eccovi un’intervista con Michael, il DJ e producer che ha trasformato una scatola di cereali in un futuro di successo nel mondo della musica elettronica!
L’ultimo brano rilasciato da Michael B DJ si intitola She Used to Be the Answer
Intervista con Michael B DJ

Ciao Michael, e grazie per essere qui con noi oggi. La tua storia è davvero affascinante. Partiamo dagli inizi: sei nato a metà dicembre del 1987, proprio “nell’orario in cui iniziano gli aperitivi”. Un dettaglio curioso! Sembra quasi una premonizione per la tua carriera nel mondo della musica e del ritmo. Ti riconosci in questa predisposizione innata?
Ciao e grazie a voi per questo spazio, è un piacere essere qui. Trovo curioso, essere nato “nell’orario degli aperitivi”, quel momento in cui la gente inizia a rilassarsi, a incontrarsi, e spesso… ad ascoltare musica. Col tempo ho finito per vedere questa coincidenza come una sorta di segno, un’anticipazione del mio destino artistico. Fin da piccolo ho percepito una pulsazione interiore, un ritmo che mi portava a vivere la musica non solo come intrattenimento, ma come linguaggio. Inizialmente sognavo di diventare programmatore di videogiochi, ma tutto è cambiato quando ho trovato, dentro una scatola di cereali, un software per creare musica elettronica. Da lì si è accesa una scintilla: non era più solo gioco, era espressione autentica. Mi riconosco in questa predisposizione, la musica è il mio modo per raccontarmi, per comunicare ciò che spesso le parole non riescono a esprimere.
La tua tenacia ha dato i suoi frutti. Negli anni ti sei fatto notare vincendo concorsi importanti come l’Emerging Contest 2013 e il B&M Remix Contest. Questi traguardi ti hanno portato a firmare ben cinque contratti discografici. Che sensazione si prova a vedere la propria musica distribuita in tutto il mondo?
È una sensazione difficile da descrivere a parole, perché racchiude un intreccio di emozioni profonde: gratitudine, stupore, soddisfazione e anche una certa umiltà davanti alla forza del sogno che si realizza. Vincere concorsi come l’Emerging Contest 2013 o il B&M Remix Contest è stato per me molto più di una gratificazione professionale. È stato il riconoscimento tangibile di anni di dedizione silenziosa, di notti passate a perfezionare un dettaglio, di ostinata ricerca sonora. Quei traguardi hanno rappresentato delle svolte, dei momenti in cui il mio percorso ha iniziato a dialogare con il mondo esterno. Firmare cinque contratti discografici con realtà così diverse e dislocate sul territorio nazionale ed europeo è stato, al tempo stesso, un’emozione e una responsabilità. Sapere che la mia musica è distribuita in tutto il mondo significa per me entrare in connessione con ascoltatori di culture differenti, ognuno con la propria sensibilità, il proprio vissuto. È come lanciare un messaggio in una bottiglia nell’oceano e scoprire, a distanza di tempo, che qualcuno lo ha raccolto e ci si è riconosciuto.
C’è una dimensione quasi spirituale in tutto questo: la musica elettronica, così apparentemente tecnica, diventa veicolo di empatia, capace di attraversare confini, lingue e fusi orari. Vedere il mio nome accanto a release internazionali, o ricevere messaggi da persone che hanno ballato, sognato o semplicemente trovato conforto nei miei brani, è una forma di pienezza difficile da spiegare. Non tanto per l’ego, quanto per il senso di appartenenza a qualcosa di più grande: una comunità globale di anime connesse dal suono.
In definitiva, è una conferma che quando si persegue una passione con autenticità e costanza, il mondo, prima o poi, risponde.
Hai collaborato con artisti italiani e internazionali, sperimentando vari generi della musica elettronica, dalla house alla techno. C’è un genere in particolare che senti più tuo o preferisci mantenere un approccio più eclettico?
È una domanda che tocca una parte molto intima del mio processo creativo, perché la mia relazione con i generi musicali non è mai stata rigida o definita da etichette. La musica elettronica, nelle sue infinite sfumature, è per me un territorio fluido, un linguaggio in continua evoluzione che mi permette di esprimere stati d’animo, intuizioni e visioni. Nel corso degli anni ho avuto il privilegio di collaborare con artisti italiani e internazionali che mi hanno arricchito sia umanamente che artisticamente. Ogni incontro ha portato nuovi stimoli, nuovi suoni, nuove sfide. E proprio questa apertura all’altro mi ha insegnato quanto sia prezioso l’approccio eclettico: non come mancanza di direzione, ma come volontà consapevole di non porre limiti all’espressione. Detto ciò, se devo individuare un genere che sento più mio, direi che esiste una forte affinità con tutto ciò che gravita attorno alla techno melodica e alla progressive house. In quelle sonorità ritmate ma introspettive, dove la cassa pulsa con decisione ma lascia spazio all’emozione e alla profondità armonica, trovo il mio equilibrio naturale. Sono generi che mi permettono di creare un’atmosfera, di raccontare una storia senza usare le parole, ma affidandomi interamente all’architettura del suono. Tuttavia, non voglio sentirmi confinato. La sperimentazione è parte essenziale del mio lavoro. Ogni traccia, ogni set, ogni remix è per me un’occasione per esplorare e rinnovarmi. La musica è viva, e io con lei. E in questo continuo movimento trovo la mia vera identità: non in un solo genere, ma nell’autenticità dell’intenzione con cui scelgo ogni suono.
Nel 2024 hai raggiunto un traguardo che definisci ancora “surreale”: la prima posizione nella classifica Techno di Mixcloud con un tuo DJ set. Come hai reagito a questa notizia?
Quando ho scoperto di aver raggiunto la prima posizione nella classifica Techno di Mixcloud, la sensazione è stata letteralmente surreale. Non lo dico per usare un’espressione d’effetto, ma perché ancora oggi faccio fatica a realizzare che un mio DJ set abbia toccato così tante persone, da portarlo in vetta a una piattaforma internazionale frequentata da artisti di altissimo livello. La mia prima reazione è stata un misto di stupore, incredulità e gratitudine profonda. Non avevo pianificato quel risultato con strategia o calcolo. Quel set come ogni selezione che preparo era nato da un’urgenza creativa, da un bisogno di raccontare un’emozione, un momento preciso del mio vissuto. È proprio questo, forse, che ha fatto la differenza: l’autenticità.
Vedere quel lavoro scalare la classifica, e infine arrivare al vertice, mi ha fatto comprendere ancora una volta quanto la verità emotiva, quando è sincera e ben canalizzata nel suono, sappia arrivare lontano. È stata una conferma che la musica, anche nel suo formato più digitale, conserva un potere profondamente umano: riesce a connettere, ad abbattere distanze geografiche e a parlare un linguaggio universale.
In tutto questo, non posso non esprimere la mia profonda gratitudine a SpaceMonkeys UK, il podcast londinese che ha creduto nella mia musica e mi ha ospitato con grande professionalità. È anche grazie a loro se quel set ha potuto trovare la sua strada e raggiungere un pubblico tanto ampio. Li ringrazio tutt’oggi per avermi dato quello spazio e quella visibilità che si è trasformata in un’occasione memorabile.
Ma oltre all’entusiasmo, quel traguardo mi ha lasciato anche un grande senso di responsabilità. So che chi ascolta si affida a me per un’esperienza, per un viaggio, per un frammento di evasione o introspezione. Questo mi sprona a dare sempre il massimo, a non smettere mai di cercare, migliorare, evolvermi.
In definitiva, quel primo posto non è stato solo un risultato personale, ma il segno che il mio modo di fare musica istintivo, emotivo, fuori da ogni cliché può toccare davvero il cuore di chi ascolta. E questo, per me, è il successo più autentico.
She Used to Be the Answer è il tuo ultimi brano, che tradotto letteralmente significa Lei era la risposta, è dedicata a qualcuno in particolare? Cosa puoi raccontarci di questo brano?
“She Used to Be the Answer” è un brano che custodisce un’anima fortemente emotiva, e sì come spesso accade nei miei lavori più intimi nasce da una storia vera. Non è solo una canzone, ma uno sfogo, un’elaborazione musicale di un legame che ha lasciato un segno profondo. Il titolo, che tradotto significa “Lei era la risposta”, racchiude perfettamente l’essenza del brano: la consapevolezza struggente che ciò che un tempo era tutto rifugio, verità, certezza oggi è diventato solo un’eco malinconica. Non parliamo solo di amore, ma di perdita, disillusione e trasformazione emotiva. È una riflessione su come alcune persone, che un tempo rappresentavano il nostro centro, finiscano per diventare parte del passato, lasciando dentro di noi tracce indelebili. Tengo molto a sottolineare che il testo è stato scritto e cantato dal rapper americano 2scarze, un artista che stimo profondamente per la sua capacità di scavare nell’interiorità con parole affilate ma mai banali. La sua penna ha saputo interpretare alla perfezione il sentimento che avevo in mente, con una lirica intensa, sincera, viscerale. La sua voce, ruvida ma carica di pathos, ha dato al brano una forza narrativa che ha completato la mia produzione musicale in modo perfetto. Dal punto di vista sonoro, ho scelto di costruire una base avvolgente ma non invadente, dove la melodia incontra la profondità della techno atmosferica, lasciando spazio alle parole e alla loro forza espressiva. Il risultato è una traccia che vibra di malinconia, ma anche di consapevolezza: un pezzo che parla della fine, ma anche della rinascita.“She Used to Be the Answer” è quindi sì, dedicata a qualcuno. Ma è anche dedicata a tutti coloro che, almeno una volta nella vita, hanno dovuto fare i conti con un vuoto e imparare a riempirlo con la propria forza.
In una recente intervista hai raccontato di essere sempre stato timido e introverso, trovando nella musica una sorta di portale per comunicare con il mondo. Pensi che questa tua sensibilità si rifletta nelle tue selezioni musicali, rendendole così autentiche?
Credo fermamente che la mia sensibilità sia una delle componenti più autentiche del mio approccio alla musica. Per me, la musica non è mai stata solo intrattenimento o ritmo da far ballare. È sempre stata, piuttosto, una forma di linguaggio parallelo, un portale silenzioso attraverso cui riuscivo finalmente a comunicare ciò che a parole non trovava spazio. Essere introverso non significa non avere qualcosa da dire, ma semplicemente cercare un’altra modalità per esprimersi. E nel mio caso, quella modalità è diventata il suono. Quando sono dietro una consolle, o davanti alla DAW mentre produco, mi spoglio di tutte le sovrastrutture sociali: non interpreto un ruolo, non recito una parte. Sono semplicemente me stesso, e parlo attraverso le frequenze. Penso che questa trasparenza emotiva si rifletta in modo naturale nelle mie selezioni musicali. Ogni traccia che scelgo o compongo non è mai casuale: porta con sé un’emozione, un’intenzione, un frammento di vissuto. Cerco sempre un equilibrio tra energia e introspezione, tra ritmo e atmosfera, proprio perché rispecchiano la mia duplice natura: da un lato l’impulso creativo, dall’altro la contemplazione profonda. Forse è proprio questo che rende le mie selezioni autentiche: il fatto che non inseguano le mode, ma nascano da un ascolto interiore, da un’urgenza di comunicare emozioni vere, senza filtri. La musica, per me, è ancora oggi quel luogo sicuro dove posso essere vulnerabile e forte allo stesso tempo. Ed è lì, in quella sincerità, che il pubblico riesce a riconoscersi.
Michael, la tua storia è una vera ispirazione. Grazie per averla condivisa con noi. C’è qualcosa che vorresti dire ai nostri ascoltatori o a chi sta pensando di intraprendere un percorso simile al tuo?
Intanto, grazie a voi per avermi dato la possibilità di raccontarmi con sincerità. È raro trovare spazi dove si possa andare oltre la superficie e parlare davvero del perché si fa musica, non solo del come. A chi sta pensando di intraprendere un percorso simile al mio, vorrei dire innanzitutto questo: credete nella vostra voce interiore, anche quando è flebile, anche quando sembra fuori dal coro. Viviamo in un mondo in cui tutto corre veloce, in cui l’apparenza spesso supera la sostanza. Ma la musica. quella autentica, nasce dal silenzio interiore, dall’ascolto profondo di sé stessi. E lì non ci sono scorciatoie. Ci saranno momenti di dubbio, ostacoli, porte chiuse. È inevitabile. Ma sono proprio quei momenti a temprare la visione, a definire il carattere artistico. Io stesso ho iniziato con pochissimi mezzi, con tanta timidezza addosso e una passione che sembrava più grande di me. Ma è stato proprio restando fedele a quella scintilla iniziale che, passo dopo passo, ho costruito il mio percorso. A chi ascolta, invece, vorrei dire: grazie. Perché ogni ascolto, ogni feedback, ogni condivisione dà senso al mio lavoro. La musica non è mai solo di chi la crea. È un ponte, e ha valore solo quando riesce ad arrivare a qualcuno, a toccare, a smuovere qualcosa dentro.
Infine, un invito: non abbiate paura di essere diversi, vulnerabili, imperfetti. In un mondo che premia l’omologazione, l’unicità è un atto di coraggio. A volte, proprio da quel coraggio, nascono le cose più vere.
 
	






