Nato da un sogno e inciso con slide e bottleneck, il nuovo singolo riprende una traccia di “Roots” per ridarle respiro. Crudo, acustico, viscerale: è il blues come urgenza espressiva. Zappia ci racconta la sua coerenza, la tenacia, e la resistenza di chi non vuole omologarsi.

Hai attraversato generi diversi nella tua carriera: cosa rappresenta per te oggi il blues, anche quando è ‘moderno’?
Il blues è il filo conduttore di tutto, specie per quel che riguarda l’espressione dell’interiorità. È vero amo e suono tutt’ora generi diversi tra loro, anche più estremi, infatti al momento suono con due formazioni: Inside The Hole, progetto musicale pluridecennale, con cui suoniamo un hard’n’blues, molto americano e propenso alla sperimentazione punk, surf rock, blues, hard’n’heavy, con cui abbiamo pubblicato una demo e un paio di album, e fatto diversi concerti e tour all’estero;
Emberfrost con cui suoniamo un Atmospheric Black Metal di stampo norvegese, con cui abbiamo pubblicato un EP da poco tempo, il tutto condito da diversi concerti;
In entrambi i casi l’intento principale è sempre quello di esprimerci con purezza e coerenza, in virtù del messaggio da esporre.
Nella canzone si sente la fatica, la polvere, la passione: credi che il pubblico senta davvero tutto questo?
Me lo auguro. Penso che un ascoltatore attento faccia caso a tutto quello che si possa celare dietro ad un brano o ad una composizione. Sicuramente non è musica di alto consumo, fatta al chilo, o per la massa, per cui occorre una maggiore dedizione, profondità e curiosità all’ascolto.
Il brano parla di desiderio e conquista: è più un’esigenza personale o un messaggio universale?
L’ho scritta pensando alla fame, alla tenacia che ognuno dovrebbe avere nel rincorrere qualcosa, anche quando sembra impossibile da afferrare. Per cui è sempre attuale e volendo anche universale: un desiderio, un obiettivo, o un pensiero costante lo possiamo avere tutti, e lottare per ottenerlo è quello che può fare la differenza. Non è detto che ognuno raggiunga la meta ma in ogni caso nemmeno si vive passivamente. Di sicuro lo sforzo messo è decisivo nell’acquietare certi rimpianti e/o frustrazioni.
Quanto di ciò che scrivi è autobiografico e quanto invece nasce da osservazioni esterne?
Molte canzoni riguardano aspetti della mia vita, le varie esperienze che lasciano un solco nell’anima, più o meno profondo, più o meno doloroso, in modo da provare ad esorcizzare i demoni dell’interiorità, eliminare gli strascichi emotivi di negatività. Chiaramente il fruitore può anche immedesimarsi in quel che ascolta, e questa sarebbe una cosa bellissima, sebbene molto difficile. Diciamo che vado dal particolare all’universale, anche perché l’unico punto di partenza possibile è quello di fare i conti con me stesso, anche in relazione ad eventi esterni, e scrivere. Ad esempio il momento attuale non è dei migliori, troppe incertezze nel mondo, pare che l’unica realtà vigente sia il caos legato all’ordine del dio denaro. In quest’ultimo periodo molta scrittura è dedicata a questa situazione di disagio.
Cosa ti ha lasciato artisticamente l’esperienza con i tuoi precedenti progetti heavy e metal?
Diciamo che i progetti musicali più estremi sono tutt’ora attivi e con quelli siamo in fase di scrittura per i rispettivi album. Di sicuro arriverà una nuova collaborazione importante nell’ambito hard’n’heavy.
Per quanto riguarda le esperienze passate, invece, hanno lasciato tantissimi ricordi, e sono state molto costruttive. Ricordo la prima band mai avuta, Old Legend, con cui abbiamo inciso tre dischi e ci siamo affacciati per la prima volta a cosa vuol dire stare in uno studio di registrazione, alle prove per essere performanti ed efficaci, alla passione e alla fame pregna di purezza e ingenuità, e con cui abbiamo calcato per le prime volte i palchi. Ricordo la tensione prima di esibirci che poi si trasformava in adrenalina…Bhe…ad essere sincero mi capita tutt’ora, come se ogni concerto fosse il primo.
Inoltre per un brevissimo periodo ho collaborato con la hard rock band bresciana Venus Mountains, per il loro tour negli States, in qualità di chitarrista. Un’esperienza fantastica, unica, fatta con un gruppo di ragazzi spettacolari. Sulla stessa linea d’onda, un vero e proprio sogno che si realizzava. Porto tante cose dentro di me da quell’esperienza e, chissà, un domani sarebbe bellissimo riuscire a rifarla con gli altri progetti musicali.
Che rapporto hai con l’onestà nella scrittura? Ti dai dei limiti quando componi?
Mi piace scrivere, e solitamente, è un processo che avviene in determinati stati d’animo. È un modo per buttare fuori il marcio, è di vitale importanza, per cui trovo che l’onestà nella scrittura sia fondamentale, anche perché non potrei fare altro rispetto a come sono fatto. Non mi piacciono le dinamiche di scrivere per moda o per cavalcare un’onda in particolare. Non solo non mi piace, ma non mi è mai interessato, non credo che ci riuscirei. L’unico limite che mi pongo, per dire così, potrebbe essere la contestualizzazione musicale e l’ambiente sonoro di un brano, o meglio, l’attitudine che il brano deve o dovrebbe avere in relazione al messaggio da voler fare uscire. Infatti ogni brano prima che venga fuori è sempre frutto di un ascolto critico e reiterato, di un confronto continuo con chi mi sta vicino, anche a distanza di tempo. La distanza affievolisce l’afflato emotivo sulla canzone, e permette di riascoltare con maggiore lucidità e obiettività.







