INTERVISTA- Mirko Labinero racconta il dolore silenzioso in “Com’è difficile”

Nessun urlo, nessun dramma: solo la voce quieta di chi ha scelto la sincerità. “Com’è difficile” è una ballata intima, nata da un vissuto personale e da immagini quotidiane. Nell’intervista, l’artista condivide un percorso di maturità emotiva e un invito a non vergognarsi della fatica di scegliere.

“Com’è difficile” ricopre un ruolo importante all’interno della tua carriera musicale?

Sì, anche perché è una canzone che ha una lunga storia. La prima stesura risale a più di 15 anni fa, ma per un motivo o per l’altro non mi ha mai convinto fino in fondo. Era come se mancasse qualcosa, o forse ero io a non essere ancora pronto a raccontarla come si deve. Lavorando agli altri brani de *L’uomo col cappello*, mi è tornata in mente e ho pensato che forse non meritava di essere cestinata. Così le ho dato un vestito nuovo, riletto con la consapevolezza e la maturità che ho acquisito in questi anni. E alla fine mi ha convinto. È entrata di diritto nella rosa delle mie nuove canzoni — con un altro respiro.

Ci sono echi delle tue esperienze personali?

Sì, anche se non in modo diretto. La canzone ruota attorno a tre immagini: un soldato, una donna in carriera e una ragazzina. Il soldato rappresenta una separazione forzata, come può esserlo un distacco imposto dal lavoro o dalla vita. Quando scrissi la prima versione, la guerra non era un tema così vicino come oggi, ma la scena parlava comunque di partenze obbligate, quelle che ti strappano da chi ami. La donna in carriera, invece, è ispirata a una persona reale che ho conosciuto: una donna tutta d’un pezzo, focalizzata solo sulla carriera, che sembrava non curarsi di nulla. Poi un giorno l’ho vista davvero provata… per dover lasciare la pianta del suo ufficio. Era l’unica cosa che aveva curato con amore. E lì ho intravisto la sua umanità. La figura della ragazzina, infine, è forse la più rappresentativa. Crescendo, lasciamo indietro oggetti, giochi, abitudini che ci hanno fatto compagnia come se fossero amici veri. E metterli via, anche solo in una scatola, è come fare loro un torto. Ma è una tappa obbligata del diventare grandi. E poi ci sono io. Io che a un certo punto non avevo più carte da giocare, non vedevo futuro, e sentivo che il sentimento era cambiato. Ho preso la decisione di lasciare, pur sapendo che avrei fatto del male. Ma era l’unico modo per fare del bene a me stesso.

Se dovessi descrivere il brano con tre parole, quali sarebbero?

Intimo, inevitabile, umano.

Lasciare o farsi lasciare: qual è la posizione “più comoda”, a tuo parere?

Comoda nessuna. Ma lasciare, forse, è più difficile. Perché sei tu a scegliere di far soffrire qualcuno. Ti prendi la responsabilità di tagliare un legame, anche se dentro ti tremano le mani. Farsi lasciare fa male, certo, ma almeno non sei tu a dover decidere il momento e il modo. Lasciare, invece, è un atto lucido e crudele allo stesso tempo. Lo fai per sopravvivere, ma il senso di colpa ti resta addosso come una giacca troppo stretta.

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