La Scelta ci svela le carte di un mondo in maschera, dove l’apparenza regna sovrana. Attraverso ritmi incalzanti e testi taglienti, la band romana ci invita a riflettere sui paradossi della nostra società, in un’intervista che scava a fondo nei significati nascosti dietro il loro ultimo singolo, “Carnevale”. Scopriamo come la musica possa diventare uno strumento di denuncia e di confronto, e come La Scelta, con la sua miscela unica di sonorità e la sua attitudine critica, stia conquistando il cuore di un pubblico sempre più attento.
“Carnevale” affronta temi complessi come l’ostentazione e l’individualismo. Qual è stato il punto di partenza creativo per scrivere un brano con una critica così tagliente della società?
Circa un anno fa, durante una giornata in studio, ci siamo ritrovati a chiacchierare tra di noi affrontando le difficoltà di quel momento, come la promozione del singolo appena uscito. Si parlava di “social” e di come tutto sembri girare attorno all’apparenza, finché la discussione si è trasformata in una sorta di dibattito sociologico più ampio. È stata proprio quella chiacchierata a far scattare qualcosa: la scintilla che ha acceso la prima stesura del testo di Carnevale.
Nel singolo abbracciate sonorità hip-hop, etno ed electro-pop. Come è avvenuta questa contaminazione e quali influenze vi hanno guidato?
Siamo costantemente contaminati da una moltitudine di sonorità diverse, questo fin dagli inizi del nostro percorso musicale. Abbiamo vissuto l’hip hop East Coast, soprattutto quello della fine degli anni ’90 e dei primi 2000, ascoltando artisti come Notorious B.I.G., Jay-Z e Missy Elliott. Allo stesso tempo, ci nutriamo continuamente di suoni e riferimenti che arrivano da ogni angolo del mondo. Sono tanti colori diversi, sfumature di musica che amiamo mescolare. Proprio come i colori del Carnevale.
Il videoclip utilizza l’intelligenza artificiale ed è ispirato ad Animal Farm. Come avete lavorato per tradurre il messaggio del brano in immagini distopiche?
È stato un gioco. Idea di partenza: associare un animale ad ogni elemento della band. Poi ho generato grazie all’A.I. una settantina di clip da 5 secondi l’una circa cercando di immaginare un videoclip dove gli animali fossero protagonisti, immaginando un mondo al contrario.
Mattia, hai dichiarato che oggi “nessuno ascolta più davvero.” Come pensate che la musica possa aiutare a ristabilire un senso di connessione?
La musica non credo possa avere questo ruolo. O meglio, la musica è sempre connessione. La musica ha il potere di scuotere sentimenti, può far riflettere o semplicemente accompagnare. Il senso di connessione fra le persone arriva solo dalle persone stesse. Viviamo in un mondo caotico e super-accelerato. Non riusciamo ad “ascoltare” perché siamo impegnati a dover “dire” e anche di fretta.
Questo “carnevale antropologico” è destinato a restare o pensate che ci sia una via d’uscita dai paradossi della nostra epoca?
Come tutte le cose, questo tempo è destinato e finire volgendosi chissà dove. Con esso tutte le contraddizioni di cui parliamo nella canzone. Questo non vuol dire che andrà tutto a migliorare, ahimè. Potrebbe andar peggio, chissà, ma sinceramente vogliamo augurarci il contrario.
Nel ritornello incisivo di “Carnevale” c’è una grande immediatezza. È stato difficile bilanciare profondità tematica e accessibilità musicale?
È stato naturale. Se dovessimo paragonarlo penseremmo ad un brano come “Fuori dal Tunnel” di Caparezza.
Guardando alla vostra evoluzione, quali elementi distintivi della vostra identità artistica restano immutati, e quali invece si sono trasformati con il tempo?
Tutto si è evoluto. Resta immutato il modo e la passione con cui continuiamo a pensare e a realizzare la nostra musica. Questa caratteristica fa la differenza, ed è un tratto distintivo molto forte.