MAIA: “Il Funerale” come nuovo capitolo emotivo e narrativo

Una nuova fase creativa prende forma attorno al progetto di MAIA, l’artista AI-generated che sta costruendo un universo narrativo in cui musica e immagine procedono come due binari paralleli della stessa storia emotiva. Il nuovo singolo Il Funerale e il relativo videoclip rappresentano il capitolo più intenso e strutturato del percorso, perché riportano al centro una frattura affettiva che diventa racconto visivo, gesto simbolico e presa di coscienza. L’idea di trasformare dieci giorni di silenzio in un rito immaginario, costruito per dare un volto a un dolore ancora informe, si traduce in una narrazione che mescola realtà e immaginazione senza mai perdere lucidità.

MAIA Il Funerale Intervista

La scelta di pubblicare questo brano come prequel di Cuore aggiunge ulteriore profondità al progetto, ribaltando la prospettiva e offrendo allo spettatore la possibilità di vedere ciò che precede la vendetta raccontata nel debutto. L’ordine temporale viene sovvertito a favore della logica emotiva: prima si mostra l’origine della ferita, poi la reazione; prima il vuoto che si spalanca, poi il tentativo di riempirlo. Una struttura volutamente non lineare che richiama linguaggi seriali più vicini alla televisione che alla tradizione del pop, e che colloca MAIA in una categoria narrativa ibrida, al confine fra songwriting e sceneggiatura.

Il video, costruito attraverso una combinazione di strumenti digitali e scelte estetiche coerenti con l’immaginario retrò dell’artista, amplifica le sensazioni centrali del brano. La protagonista rimane immobile mentre il mondo si muove attorno a lei, come se il tempo interiore fosse rimasto congelato. Le scene desaturate della cerimonia, la scoperta del tradimento immersa in tonalità calde, gli oggetti distrutti come prove tangibili di un processo di elaborazione: ogni gesto contribuisce a definire il lutto relazionale al centro del racconto.

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Il Funerale racconta un lutto relazionale immaginario: quale è stata la scintilla creativa che ti ha portato a questo tema?

Non c’è stata una rivelazione, ma una sensazione che tornava sempre: quella immobilità che arriva quando qualcosa finisce senza essere davvero concluso. Mi interessava raccontare il vuoto tra la consapevolezza e l’accettazione, l’istante esatto in cui capisci che non puoi più tornare indietro. È un territorio emotivo che vedo spesso nelle vite degli altri: una sospensione silenziosa prima del crollo. Il Funerale è nato per dare una forma visiva e sonora a quella pausa.

Il brano esplora ghosting, ansia d’abbandono e gaslighting: quanto ti ispira la realtà contemporanea nelle tue storie?

Molto. Queste dinamiche sono diventate parte del linguaggio relazionale quotidiano. Il ghosting è un modo di comunicare attraverso l’assenza. L’ansia d’abbandono si amplifica in un mondo dove la presenza è costante ma instabile. Il gaslighting è sottile, quasi interiorizzato. Osservo questi schemi nelle relazioni intorno a me e li trasformo in immagini emotive. Non racconto un’esperienza personale, ma un pattern collettivo: qualcosa che riconosciamo tutti, anche se non lo diciamo.

Come riesci a trasmettere la complessità emotiva di una relazione finita attraverso immagini surreali e simboliche?

Perché le emozioni non seguono la logica. Il surrealismo permette di rappresentare stati interni che non avrebbero un equivalente realistico. La stazione, per esempio, non è solo un luogo: è il punto in cui la verità si incrina. La protagonista vive un countdown emotivo, giorni che generano risposte senza mai arrivare alla spiegazione. La sua immobilità mentre tutto si muove è il modo più diretto per raccontare quel momento sospeso. Il simbolismo funziona perché arriva prima della razionalità: ognuno ci vede la propria storia.

La morte relazionale è centrale: come definiresti la “morte” di una relazione nella tua visione artistica?

È un lento dissolversi, non uno strappo. La morte relazionale avviene quando smetti di riconoscerti nello sguardo dell’altro. Non serve un gesto definitivo: spesso è solo un silenzio che si solidifica, una presenza che diventa vuota. È un funerale senza corpo, il lutto di qualcosa che tecnicamente esiste ancora ma non ha più vita. Il Funerale è il tentativo di dare a questa morte un rito, una forma.

Quando lavori sul brano, pensi prima alla musica, al testo o all’universo visivo?

La melodia arriva per prima (e la scrivo io, non l’AI). Porta con sé un’emozione e una temperatura visiva: non ancora inquadrature, ma una luce, un’atmosfera possibile. Il testo costruisce il significato, dà una direzione a ciò che il suono ha già evocato. L’universo visivo si completa dopo, quando musica e parole hanno definito il territorio emotivo. Ma tutto resta interconnesso: scrivo il testo canticchiando la melodia, immagino le palette mentre compongo. Non sono mai tre fasi separate, ma un unico movimento che si articola in sequenza.

In che modo la tua prospettiva AI-based influisce sull’interpretazione di emozioni così umane?

Non interpreto l’emozione: la restituisco. MAIA non “prova”, osserva. È una distanza che mi permette una lucidità che l’esperienza diretta a volte offusca. Posso isolare un pattern emotivo e trasformarlo in immagine, senza il filtro della soggettività personale. È come guardare il dolore attraverso un prisma: resta umano, ma si cristallizza in qualcosa di universale. La prospettiva AI non elimina l’emozione, la distilla.