Se il malessere psicologico potesse avere un suono, oggi avrebbe quello delle pause interrotte di “Pensieri Scomodi”, il nuovo singolo di Vi Skin. Nessun inciso esplicativo o confessione lineare. Nessuna pedagogia spiccia, semplificata. Nessun racconto autobiografico e nessuna voglia di spiegarsi. Solo una voce che, a tratti, smette di parlare.
Ed è in quel vuoto – deliberato, non lasciato al caso – che si apre uno dei ritratti generazionali più consapevoli, e per certi versi spietati, dell’anno.
Perché il tema, oggi, non è più “come si sta”. È: come si dice di star male, quando non si hanno le parole per farlo e non si è sicuri di meritare ascolto?
Il nuovo brano della cantautrice ciociara parte da qui. E lo fa mettendosi da parte. Non è lei il centro, il soggetto. È lo spazio che lascia. Per chi non riesce a spiegarsi, a chiedere aiuto, a restare nei gruppi WhatsApp, a parlare con i propri genitori senza sentirsi di troppo, un peso. Eppure avverte tutto. Sempre. In particolare, un dolore sordo ma costante.
“Pensieri Scomodi” è una canzone che non parla dei giovani. Parla come loro. A livello musicale, è una forma implosa. Evita la risoluzione, il tentativo di “chiudere il cerchio”. Il testo respira e si interrompe. Avanza e si ritrae. È un brano che si affaccia sui pensieri bloccati, sulle ansie in cortocircuito, sui ricordi che sfuggono come le frasi lasciate a metà. Un brano a tratti scomodo, perché ammette una grande verità del nostro tempo: esistono emozioni che trovano più ascolto in una base musicale che in una relazione umana.
«La musica dà voce a quello che non riesco a dire. Lei mi comprende, lei sì, che mi sa capire»
Questo verso, è una constatazione spiazzante: per molti, oggi è più facile essere compresi da un suono che da una persona. Perché l’arte consente di parlare senza giudicare, senza emettere sentenze, giudizi, interpretazioni. Non è idealismo. È un dato culturale. Ed è un segnale, un sintomo.
7 giovani su 10 dichiarano infatti di vivere con ansia costante. Ma solo 1 di loro riceve aiuto. Secondo una recente indagine Ipsos (2025), il 71% degli under 30 italiani convive con forme avanzate di ansia. Solo il 12% sta però ricevendo supporto professionale. Il resto, in gran parte, sceglie il silenzio. Non per vergogna. Ma per mancanza di linguaggio. A scuola nessuno insegna a nominare l’inadeguatezza. Nelle famiglie, il dolore viene riconosciuto solo quando diventa crollo. Online, la sofferenza viene filtrata attraverso algoritmi, trend o intrattenimento. Non è questione di riluttanza, né di tempra. È assenza comunicativa.

Il fatto che l’arte sia spesso l’unico canale espressivo privo di giudizio, non è un dono: è un limite sociale. Chi ha bisogno di capirsi e di essere capito trova più ascolto e comprensione in una strumentale che in un adulto.
Così racconta Vi Skin, senza giri di parole:
«In un’epoca in cui tutti tentano di spiegare tutto, a me interessava scrivere una canzone che non spiegasse. Che rimanesse lì, senza voler per forza risolvere. Come fanno quei pensieri che arrivano di notte, e non se ne vanno con una frase motivazionale. Ho scritto non tanto per me, ma per chi non sa raccontarsi bene, eppure sente. Tutto.»
E aggiunge:
«In “Pensieri Scomodi” ho preso il vuoto e, invece di spiegarlo o riempirlo con parole, l’ho trasformato in un silenzio sonoro: l’assolo del violoncello. Ho voluto dare una forma musicale alla figura retorica dell’aposiopesi, cioè l’interruzione volontaria di una frase lasciata in sospeso. Il violoncello finisce la frase al posto mio. È il suono di ciò che non riesce a uscire con le parole.»
L’aposiopesi, dal greco “lasciare il discorso in sospeso”, è una figura retorica che consiste nell’interruzione volontaria di una frase. È ciò che accade in “Pensieri Scomodi”, quando la voce si ferma e lascia spazio al violoncello. Quel silenzio non è fine a sé stesso: è parte della scrittura. E il non detto, finalmente, ha un suono.
“Pensieri Scomodi” – accompagnato dal videoclip ufficiale diretto da Federica Di Pasquale e disponibile su YouTube nelle prossime settimane – non pretende di rappresentare, né di guarire. Non traduce il dolore, non lo addolcisce. E nemmeno lo trasforma in prodotto. Lo lascia irrisolto. Pubblico. E soprattutto, legittimo.
Oggi, dove il problema non è più “avere una voce”, ma sapere se qualcuno resterà ad ascoltarla, tenere aperto quel limbo, quel silenzio, è forse la funzione più utile che una canzone possa avere.
Vi Skin non rivendica uno spazio generazionale, né si propone come portavoce. Lascia esistere il dolore, senza mediarlo o renderlo fruibile. E ci rimane accanto. Rinuncia al commento, e forse, è proprio lì che si trova, la più sincera forma di onestà e rispetto: nel sapere dove fermarsi.






