
Il testo, a prescindere dal semplice racconto della capitale giapponese, trasforma la città in questione, tra le più grandi al mondo, in uno specchio della complessa realtà di oggi.
Barry e i Karamazov si servono di Tokyo per descrivere una sensazione interiore, scavando nell’anima tra scene frenetiche e un profondo senso di abbandono. Il culmine si raggiunge nel ritornello, con la riflessione che tocca il punto più elevato.
I nostri artisti, con grande disinvoltura, creano un suggestivo gioco di significati, invitandoci a pensare al presente e a riportare al centro i dubbi sul senso della vita.
Per restare in tema col Giappone, si chiede Haruki Murakami: «Perché alla fine dobbiamo essere così soli? Forse il pianeta continua a ruotare nutrendosi della solitudine delle persone?»
Parlando dei suoni, il brano si distingue per una combinazione, ben ponderata, di contrasti sonori, con il rock e il cantautorato che incontrano l’elettronica: il tutto per rappresentare, volendo dirla con un ossimoro, la “tumultuosa armonia” della metropoli nipponica.
Barry e i Karamazov, regalandoci un gran brano con un’impostazione da colonna sonora, danno vita a quella che, stavolta ricorrendo alla sinestesia, potremmo considerare una vera e propria “musicalità visiva”.
Ed è proprio per unire le suddette figure retoriche che ci affidiamo a una citazione di Claude Debussy: «Sono sempre più convinto che la musica, per la sua stessa natura, è qualcosa che non si può modellare su formule tradizionali e fisse. È fatta di colori e di ritmi.»
Abbiamo quindi una canzone in grado di fondere l’emozione e la riflessione, tra suggestioni sonore e non solo. Una volta assaporato, non potrete che sentirvi appagati.







