“Tra i miei disordini”, il primo album da solista di Capolupo, è un lavoro che si mette in mezzo – tra la pelle e le ossa – e resta lì, a vibrare sottovoce.
Ho ascoltato questo disco una mattina di aprile, una di quelle in cui l’aria sa già di primavera ma il cielo resta grigio, come se non volesse ancora lasciarti andare del tutto. Bologna dormiva ancora e io avevo bisogno di qualcosa che non fosse solo musica di sottofondo. Avevo bisogno di verità. E Capolupo, con queste dieci tracce, me ne ha consegnata parecchia.
La title track, “Tra i miei disordini”, è il cuore pulsante del disco. Una ballata elettroacustica che cresce con discrezione ma lascia il segno, raccontando la perdita di un genitore con una sincerità che, personalmente, mi ha colpito più di mille costruzioni poetiche. Nessuna retorica, solo un vuoto raccontato con precisione chirurgica e voce tremante ma ferma. Il videoclip che accompagna il brano ne amplifica la forza: una corsa in mezzo al disordine, fino al ritorno a casa. Simboli chiari, ma mai banali.

Il resto dell’album è un viaggio coerente, compatto, dove ogni brano è un tassello che aggiunge senso all’insieme. Da “Gioie e paranoie”, in bilico tra ironia e malinconia, a “Due proiettili”, che colpisce con la sua struttura spigolosa e le influenze quasi industrial, Capolupo dimostra di saper lavorare bene sulle sfumature. Non rincorre il ritornello perfetto, non cerca l’hit da playlist – e forse proprio per questo si fa ascoltare ancora più volentieri.
In “Un giorno qualunque bellissimo” si sfiora una leggerezza apparente, mentre “Come se fosse facile” ha l’amaro in bocca delle cose dette troppo tardi. C’è una scrittura che non ha bisogno di spiegarsi troppo: chi ascolta capisce. E chi ha vissuto almeno una perdita, una frattura, un addio improvviso, si riconoscerà.
Il suono richiama certe produzioni nord-europee ma senza perdere un’identità profondamente italiana. La produzione (firmata Diecigocce Records) è pulita, asciutta, fedele al messaggio. Qui non si tratta di stupire con effetti speciali, ma di arrivare dove le parole da sole non bastano.
Un dettaglio non da poco: il ricavato delle vendite del vinile sarà devoluto alla Fondazione ANT, che offre assistenza domiciliare a pazienti oncologici. Un gesto concreto, che conferma quanto questo progetto nasca da una necessità vera, umana, urgente.
Tra i miei disordini è un disco che non urla, ma resta. Un esordio solista maturo, consapevole, che sa mettere in musica ciò che spesso preferiremmo non dire. E lo fa con onestà. Ecco, se dovessi riassumere questo album in una parola sola, userei proprio questa: onesto. E di questi tempi, fidatevi, non è poco