L’alba di “Un’altra volta”: il messaggio di resilienza di Ilca

“Un’altra volta”, il nuovo singolo di Ilca, rappresenta un viaggio attraverso la malinconia e la ricerca di rinascita. Con una produzione magistrale di Paolo Mazziotti, il brano combina elementi di cantautorato con sonorità indie, creando un’atmosfera avvolgente e sospesa. Le chitarre e i synth leggeri accompagnano una melodia delicata e costante, esprimendo un respiro che cerca equilibrio dopo momenti di smarrimento. Mazziotti ha saputo enfatizzare la profondità emotiva di Ilca, permettendo al brano di oscillare tra intimità struggente e aperture luminose. “Un’altra volta” non è solo un’esplorazione dei punti bassi della vita, ma anche un inno alla perseveranza e alla speranza, trasformando l’oscurità della notte in una promessa di nuova alba.

Ilca 4

“Un’altra volta” racconta un momento di buio ma anche un desiderio di rinascita. Qual è stato il punto di partenza emotivo che ti ha spinto a scrivere questa canzone?

Il punto di partenza è stato un momento in cui mi sentivo completamente svuotato, come se stessi cercando qualcosa che non riuscivo a trovare nemmeno dentro di me. Era una fase di stanchezza emotiva, ma anche di consapevolezza: sapevo che dovevo toccare il fondo per poter risalire.

Scrivere Unaltra volta è stato il mio modo di fare ordine nel caos. Ho capito che dentro quel buio cera già un seme di cambiamento. La canzone è nata proprio lì, tra la voglia di lasciarsi andare e quella di riprovarci ancora. Il titolo stesso è un invito silenzioso a darsi unaltra possibilità, anche quando sembra inutile. Credo che tutti, almeno una volta, si siano sentiti bloccati, in un limbo tra ciò che si è perso e ciò che si potrebbe diventare. Con Unaltra volta volevo raccontare quel momento sospeso, ma anche dare una piccola luce: lidea che si può sempre ricominciare, anche senza sapere esattamente da dove.

Hai parlato di una malinconia costante che ti accompagnava nel periodo in cui è nato il brano. C’è stato un momento preciso in cui hai capito che la musica poteva trasformarla in qualcosa di condivisibile?

In quel periodo sentivo una malinconia che non era legata a un evento preciso, ma era più uno stato danimo continuo, una specie di sottofondo emotivo che mi accompagnava ogni giorno. Una sensazione di mancanza, di vuoto difficile da spiegare. Ero presente, ma mai davvero allineato con ciò che vivevo.Un giorno, senza nemmeno pianificarlo, ho iniziato a scrivere qualche frase, quasi per sfogarmi. E lì ho capito che quella malinconia aveva una forma, un ritmo. Cerano parole che suonavano vere, e non erano solo mie: parlavano di qualcosa che, secondo me, potevano sentire anche altri. È stato quel momento a farmi capire che poteva nascere una canzone. Che quella sensazione, una volta messa in musica, poteva diventare uno spazio condiviso. La musica ha questa magia: prende qualcosa di profondamente personale e lo rende collettivo. Scrivendo Unaltra volta, mi sono reso conto che stavo trasformando una malinconia individuale in una possibilità di connessione. Perché alla fine, anche se ognuno la vive a modo suo, quella sensazione di ‘non essere dove si vorrebbe’ è qualcosa che molti conoscono. E condividerla, anche solo in tre minuti, può fare la differenza.

Il silenzio tra le note, come dici, può parlare quanto la musica. Che valore ha per te lo spazio vuoto in un brano?

Lo spazio vuoto in un brano ha la stessa funzione della respirazione durante la meditazione o la terapia. È il momento che prendi per te stesso. Quando fai mente locale di quello che è successo prima e prepari la strada a quello che verrà dopo. Respirare vale quanto cantare, aiuta a dare il peso alle parole.

Collaborare con Gabriella Martinelli ha portato nuove sfumature al pezzo. In che modo il confronto con lei ha cambiato o arricchito la tua visione iniziale?

Gabriella Martinelli mi ha insegnato a non giudicarmi, quindi a guardare le parole con libertà e ironia, perchè per prendersi sul serio bisogna forse prendersi meno sul serio. La sua sensibilità e la sua forza mi hanno dato quella spinta in più, un modo di vedere le cose da un’altra prospettiva che non è la mia.

Ti è mai capitato che una canzone ti aiutasse a capire qualcosa di te che ancora non sapevi?

Assolutamente sì. Credo che scrivere canzoni sia un po’ come fare terapia senza accorgersene. A volte butti giù parole e melodie seguendo un’idea o un’emozione, e solo dopo, rileggendo il testo o cantandolo, ti rendi conto che hai messo a fuoco qualcosa che prima era solo un’ombra nella tua testa. Mi è successo diverse volte, ed è uno dei motivi per cui scrivere musica è così importante per me: mi aiuta a capire chi sono, anche quando non me lo aspetto.