Con “Speranza”, i Gincana si addentrano nelle profondità dell’animo umano, dipingendo un quadro vivido di dolore, lotta e resistenza. Il brano si muove su un filo sottile tra luce e ombra, alternando momenti di intensa introspezione a esplosioni emotive che scuotono l’ascoltatore. La lirica, cruda e poetica, si fonde con una melodia avvolgente che amplifica il senso di urgenza e consapevolezza. In un mondo segnato da incertezze, “Speranza” emerge come un canto di resilienza e di ricerca di significato. Abbiamo incontrato i Gincana per esplorare insieme la genesi del brano e il loro percorso artistico.
Come descrivereste l’evoluzione del vostro sound da quando avete iniziato a lavorare insieme fino ad oggi?
Abbiamo sicuramente raffinato alcune soluzioni per far si che l’idea di unire elettronica e teatro potesse essere ancora più funzionale. All’inizio esploravamo diverse soluzioni, mentre oggi abbiamo trovato un equilibrio che ci permette di dare maggiore coesione ai nostri brani. La narrazione onirica crea un filo conduttore che lega ogni composizione e nei live si percepisce un percorso più che una serie di brani divisi gli uni dagli altri.
“Speranza” è un brano che affronta temi molto profondi. Come vi approcciate al processo di scrittura e composizione quando trattate emozioni così intense e universali?
Ci affidiamo inizialmente all’istinto: parole e note escono senza sforzo e raccontano storie, emozioni che stiamo vivendo. Poi c’è un processo di razionalizzazione… che cosa vogliamo comunicare? Qual è la modo più efficace per esprimere in maniera chiara le nostre emozioni? Ed è rispondendo a queste domande che arriviamo alla struttura del brano vera e propria, in un processo in cui composizione e scrittura vanno di pari passo e si trasformano insieme diventando una cosa unica.
Cosa vi distingue come band e come collaboratori? Quali sono le dinamiche creative che rendono unica la vostra musica?
È interessante il fatto che veniamo da mondi creativi diversi. Abbiamo unito musica, teatro e illustrazione con naturalezza perché è il modo in cui comunichiamo quotidianamente. Siamo due persone molto creative e immaginazione e visione sono sempre intorno a noi. La maggior parte dei brani è stata composta in intimità, sul divano, mentre facevamo colazione, o in situazioni estremamente spontanee. Gli strumenti che utilizziamo per comporre musica elettronica sono piccoli, piccolissimi e possiamo realmente comporre un intero brano stando seduti vicini su una panchina. Inoltre siamo innamorati e tutto si intreccia con grandissima spontaneità.
Quando lavorate su un nuovo progetto, come decidete il messaggio che volete trasmettere al vostro pubblico?
Partiamo dalle nostre emozioni, legate al nostro vissuto, e le rappresentiamo in modo astratto, per immagini. Questo ci permette di astrarre dal personale e permette a chi ci ascolta di poter rivedere dei pezzettini di sé in quello che proponiamo. Abbiamo anche l’opportunità di provare brani nuovi davanti a un pubblico: ogni mercoledì suoniamo come resident in uno spazio e così sperimentiamo la reazione alle nostre nuove proposte.
Quali sono le sfide più grandi che affrontate durante la registrazione di un brano come “Speranza” e come riuscite a superarle per ottenere il risultato finale?
La parte più complessa è trovare il collante perfetto che unisce immagini, teatro e musica. In “Speranza” è stato complesso coniugare arpeggi di musica classica con le sonorità elettroniche.
Per il cantato/recitato è complesso trovare uno spazio musicale che permetta di tenere l’intenzione della recitazione anche in una sola parola, soprattutto nelle metriche serrate, per non perdere il senso del testo, le sfumature delle parole, le note che vanno appunto con l’intenzione.
Abbiamo la fortuna di lavorare alle registrazioni in uno studio accogliente che ci permette di passare ore, giorni e anche settimane per sperimentare infinite possibilità e trovare l’incastro perfetto.