Collaboriamo con Roberto Bocchetti da diverso tempo e conosciamo bene il suo background musicale e artistico, di recente ci siamo imbattuti su come Spotify in particolar modo, stia influenzando i ritmi di produzione, specie per quanto riguarda il settore emergente, quindi abbiamo deciso di condividere con voi questo dibattito in una piccola intervista, sperando di poter aiutare i giovani emergenti.
Ciao Roberto! Ti va di raccontarci se e come Spotify o altre piattaforme, in qualche modo abbiano cambiato i tuoi ritmi di produzione musicale e dirci secondo la tua esperienza, quale pensi possa essere una giusta strategia per produrre e promuovere la propria musica?
Non è che Spotify ti punti una pistola alla tempia per importi di pubblicare un brano, però ha un ciclo mensile e ti mette sotto stress, per cercare di farti fare un’uscita al mese. Non dobbiamo dimenticare che Spotify fa gli interessi di Spotify e dei suoi azionisti (Tra cui Universal Music, Sony e Warner), quindi più la gente carica brani sulla piattaforma, più Spotify guadagna, a scapito della qualità e di un minimo di selezione che secondo me andrebbe comunque operata nell’accettare le nuove canzoni.
Il punto è che se davvero pubblichi un singolo al mese, poi non hai tempo adeguato per fare la promozione, inviarlo alle radio ecc. e aspettare che in qualche modo “decolli”. Crei un’obsolescenza programmata, imprimi sul tuo singolo una “data di scadenza”, il che mal si concilia con l’arte e la creatività, per chi ancora crede che fare musica sia arte.
Anni fa il ciclo delle uscite era più focalizzato sulle 4 stagioni. Usciva un album, anticipato da un singolo e, quando andava bene, poi dall’album tiravi fuori ancora 1-2-3 singoli di successo e/o qualche remix, ma nel giro di 6 mesi-un anno, non in un mese.
Bisogna anche dire che queste piattaforme hanno promosso un generale abbassamento della musica come valore. Una volta, compravi il vinile, lo scartavi, lo annusavi, lo mettevi sul piatto e ci appoggiavi sopra la puntina. Era un rituale, e poi guardavi il libretto coi testi che a volte era un’opera d’arte a se stante, mentre ascoltavi dall’inizio alla fine. Eri consapevole di stare ad ascoltare musica. Adesso ti ascolti un brano in sottofondo mentre fai altre 10 cose: chatti, guardi un video su YouTube, leggi le ricette, le notizie e quando va bene ti accorgi che hai sotto una canzone.
Per la mia esperienza, la cosa migliore è fare musica per divertirsi e stare bene con se stessi, senza pensare se poi una canzone andrà bene o andrà male, o chi potrebbero essere gli ascoltatori. L’importante è rimanere fedeli a sé stessi. Io per esempio ho fatto canzoni in italiano, in inglese o strumentali, ma non ho calcolato le uscite in maniera scientifica, sono andato per via empirica, ho una mia certa idea di come voglio i suoni dei miei pezzi e seguo questa mia idea.
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