Mamos Gang2(ph. Jacopo Testone)

MaMo’s gang: nuovo jazz e sperimentazioni

Nel panorama musicale contemporaneo, il dialogo tra generi diversi è sempre più centrale, dando vita a contaminazioni che ridefiniscono i confini stilistici. MaMo’s Gang, formazione composta da Gabbo, Squarta e Massimo Moriconi, incarna perfettamente questo spirito di sperimentazione, fondendo l’energia del rap con la profondità armonica del jazz e il groove del funk.

Il trio ha recentemente pubblicato due brani emblematici del loro percorso: Freedom Jazz Dance, reinterpretazione innovativa del classico di Eddie Harris, e Yassa, un inedito che riflette il loro approccio libero e istintivo alla composizione.

Attraverso questa intervista, esploriamo il processo creativo del gruppo, il loro modo di bilanciare improvvisazione e struttura e il ruolo chiave della tradizione jazzistica nella loro musica. Un viaggio sonoro che mescola influenze diverse per dare vita a un linguaggio musicale nuovo e coinvolgente.

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“Freedom Jazz Dance” è un omaggio a Eddie Harris. Quali aspetti del brano originale vi hanno maggiormente ispirato e come li avete reinterpretati?E da quale stimolo è nata poi Yassa come brano inedito?

Sicuramente di “Freedom Jazz Dance” ci ha ispirato il suo tema articolato e dissonate che racchiude in sé il blues ed il jazz moderno, reinterpretato utilizzando un fraseggio jazz unito al sound hip hop.

Lo stimolo che ci ha portato alla creazione di Yassa è arrivato dalla passione reciproca per la black music in particolar modo dell’’R&B e per i “colori armonici” appartenenti al jazz.

Come avete bilanciato l’improvvisazione, elemento chiave del jazz, con le strutture ritmiche più definite tipiche del rap?

Tramite l’equilibrio tipico dello smooth jazz cercando il contrasto tra la ripetitività del Groove e l’estemporaneità dell’anima jazz.

Il piccolo basso ha un ruolo distintivo nel vostro sound. Come si inserisce in un contesto di fusione tra jazz e hip hop?

Si inserisce non limitandolo solo nel ruolo solistico, ma rendendolo protagonista anche nell’armonia dei brani, suonando gli accordi (ruolo tipico del pianoforte).

La scelta di combinare generi così diversi richiede un dialogo musicale molto preciso. Quali sono stati i momenti più impegnativi nel creare questo equilibrio?

In realtà tutto questo processo è venuto in maniera naturale, la possiamo considerare la parte più semplice del lavoro, in quanto nessuno di noi ha pensato al protagonismo, ma alla funzionalità e al risultato del brano

Nelle vostre sessioni di registrazione, come avete affrontato la costruzione dei layer sonori e l’integrazione tra strumenti e beat?

Ogni brano ha avuto un iter differente, il filo conduttore è stato quello di suonare insieme e sviluppare le idee in modo estemporaneo

Qual è il ruolo della tradizione jazzistica nella vostra musica e come riuscite a rinnovarla senza perdere la sua autenticità?

Sicuramente la tradizione jazzistica è presente nello sviluppo armonico e improvvisativo, reso moderno dai suoni.

Avete reinterpretato uno standard jazz con un approccio innovativo. Pensate che questo tipo di contaminazioni possa aprire nuove prospettive per il jazz moderno?

Non abbiamo alcun tipo di pretesa abbiamo semplicemente suonato ciò che in quel momento avevamo il piacere di suonare

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