“DUES” è il nuovo album degli I Shot a Man, fuori giovedì 29 febbraio 2024, concepito tra i blues urbani del nostro secolo, trascinato per le rive del Mississippi fino alle paludi della Louisiana. Il 9 marzo a Torino, tra le storiche mura di Spazio 211, la band ha presentato dal vivo il nuovo album.
A stendere il tappeto rosso al nuovo lavoro sono stati i due singoli “Arnold Wolf” e “Billboards”, prima e ultima traccia del disco. “Arnold Wolf”, un brano intriso di chitarre elettriche e suoni saturi, a sottolineare la ricerca di un sound moderno e diretto, e “Billboards”, una ballata notturna dai toni caldi e vellutati, tinta di soul anni ‘70. Quello che c’è nel mezzo è DUES.
Una raccolta, un disco antologico, l’amore per le figlie e i figli del blues, per le sue radici e per le sue declinazioni più moderne. È un album da sfogliare, una raccolta di foto, storie di persone diverse vissute in luoghi e momenti diversi. Come se ogni brano fosse un piccolo film, alla ricerca di un nuovo blues, come se fosse sempre stato lì, come se nascesse oggi.

Come è nato il progetto I Shot A Man e perché avete scelto questo nome?
La band è nata nel 2014, da un’idea di Domenico di tornare al Blues, un mondo che aveva sempre amato ma mai approfondito. All’inizio la formazione era composta esclusivamente da batteria e chitarra elettrica, a cui in breve si è aggiunto Manuel con la voce e una seconda chitarra. Gli inizi sono stati un viaggio a ritroso nel blues, per ripartire dalle origini, abbracciando la poetica, imparando gli stili chitarristici e compositivi.
Un giorno d’estate, in un prato, suonavamo un brano di Johnny Cash, un grande che non ha mai nascosto la sua gratitudine verso il blues. Il verso più controverso di Folsom prison blues recita “I shot a man in Reno”, abbiamo iniziato per gioco a chiamare così il progetto e ora, dieci anni dopo, siamo ancora qui.
Ci raccontate qualcosa sugli anni della vostra formazione musicale? Che tipo di studi avete seguito?
Suoniamo tutti da almeno 25-30 anni, ma tutti e tre abbiamo iniziato da autodidatti, militando nelle band giovanili grunge, hard rock, metal, e facendo esperienza live in club e locali . Abbiamo sviluppato da adulti la necessità di studiare musica, e questo ci ha guidato verso territori che da adolescenti non avevamo esplorato a fondo.
Domenico ha fatto il suo primo incontro con la chitarra blues durante l’adolescenza sviluppando un interesse per il fingerpicking. Successivamente ha perfezionato lo studio della chitarra elettrica solista con Antonio De Gruttola presso la scuola Lizard per poi concludere il suo percorso formativo con il rinomato chitarrista e insegnante di blues Dario Lombardo presso la Jazz School di Torino.
Manuel suonava la chitarra già da almeno una decina di anni, e intorno ai venti ha studiato ha iniziato a prendere lezioni di pianoforte per approfondire lo studio dell’armonia; qualche anno dopo ha aggiunto lo studio della tecnica vocale e del canto jazz, e per finire, abbiamo trascorso qualche anno insieme nella classe di musica d’insieme blues alla Jazz School Torino.
Simone, dopo le esperienze giovanili, ha scoperto i Rush e ha sentito la necessità di intraprendere un percorso di studio sotto la guida di Gianni Bonifazi. e negli anni successivi ha approfondito fusion, latin jazz, funk, soul e molto altro. Successivamente con Alessandro Carlini (dell’Orchestra Filarmonica Marchigiana) ha approfondito lo studio della musica afro cubana, mettendo a dura prova tutta l’indipendenza dei vari arti necessari alla creazione di un groove! Sempre in maniera completamente randomica ed istintiva ha preso parte a diverse formazioni nei più disparati generi, portando sempre una grande dose di personalità e musicalità. Simone è inoltre fondatore insieme a Manuel Volpe dei Rhabdomantic Orchestra, e oltre agli I Shot a Man, ha collaborato con Movie Star Junkies, Roncea, Carsico.
C’è un messaggio che vorreste trasmettere ai vostri ascoltatori con “Dues”?
Non abbiamo distillato un messaggio in particolare. Non ci sentiamo nella posizione di metterci in cattedra e pontificare su questioni complesse come quelle che viviamo in questi anni di profonda trasformazione. Forse dal nostro punto di vista privilegiato di musicisti abbiamo qualche piccolo vantaggio nel provare empatia per gli esseri umani che circondano le nostre vite, e in questo nostro nuovo album, qualche brano è il tentativo di metterci nei panni di chi è nato dalla parte sbagliata del mondo, quelli che non hanno alternative se non inseguire il sogno, l’incubo, l’illusione di una vita migliore. E non riusciamo a immaginare come qualunque essere umano possa anche solo immaginare di giudicarne un altro, senza aver condiviso nemmeno un centesimo del peso che ha avuto sulle spalle.
Perché avete scelto proprio “Arnold Wolf” e “Billboard” per anticipare l’uscita dell’album?
DUES è un album che arriva a cinque anni dal primo, dopo la pandemia, viaggi, cambi di rotta, ritorni. E in questo dedalo di strade e possibilità abbiamo raccolto tante influenze musicali, culturali, tante poetiche diverse. C’è una logica, una mano dietro tutto, ma ogni brano è una storia e un mondo sonoro indipendente, e volevamo che i primi due singoli fossero gli estremi di questo canzoniere. Arnold è il brano più moderno, elettrico, caustico. Billboards è il più vellutato, notturno, lirico.
Qual è l’elemento che non dovrebbe mai mancare in un pezzo firmato I Shot A Man?
A noi piace complicarci la vita. Non abbiamo mai scritto un brano in cui non devi sudare sette camicie per arrivare in fondo. Dal vivo ci piace avere un’aria ironica e sgangherata, ma provateci voi a unire due arrangiamenti di chitarra in fingerpicking mentre la batteria si alterna tra spazzole, mallett e bacchette e tutti cantano e fanno i cori. Se ci consenti una scemenza: i nostri brani sono come l’arco di Ulisse, che solo lui era in grado di usare. Iperboli e vanità a parte, credo che a noi piaccia scrivere canzoni. I nostri brani sono delle canzoni che hanno al centro il testo e nascono soprattutto da una melodia bella da cantare.
Quali saranno i prossimi step del vostro progetto?
Dopo la lunga gestazione di “Dues”, vogliamo solo suonare il più possibile. Dopotutto, è dal vivo che ti rendi conto della bontà della tua proposta, delle tue qualità tecniche e artistiche. E poi, a chi non piace riempire la macchina di strumenti e andare alla deriva?
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