Ti sei mai sentito troppo esposto nella tua musica? Lo abbiamo chiesto nell’intervista a Filippo de I Temporali

Noi siamo contentissimi di aver parlato con Filippo Ghiglione, che ci ha raccontato del suo passato musicale e di questo nuovo inizio e dell’ignoto che lo aspetta. Ecco com’è andata!

Cosa ti ha spinto a intraprendere questo nuovo percorso come “I Temporali”? E come mai questo nome senti possa rappresentarti?

Ciao Diffusioni Musicali! Grazie mille per le domande. Sicuramente il bisogno di tornare a casa, in qualche modo. Per tanto tempo ho portato avanti un progetto alt-folk in inglese che si chiama f o l l o w t h e r i v e r, e già da tempo sentivo la necessità di tornare a scrivere e cantare nella mia lingua madre, ma nel corso degli anni ho sviluppato una vera e propria fobia dell’italiano. La paura di non riuscire a dire abbastanza o di non dire cose abbastanza di “spessore”, unita alla paura di “tradire” le radici musicali da cui provengo in favore di un diverso tipo di musicalità. Poi è arrivato un temporale (in tutti i sensi) nel 2021 ed è cambiato tutto, vita compresa. E con il tutto è arrivato anche lo sblocco della paura, così sono finalmente tornato a casa.

Ho scelto questo nome per tanti motivi diversi: in parte per creare un trait d’union con il progetto precedente, a sottolineare che sono due sentieri paralleli ma che l’uno non esclude l’altro (elementi naturali, elemento dell’acqua nei fiumi e nei temporali), e poi perché i temporali sono fatti di contrasti: spaventano, da piccoli sono terrorizzanti e possono essere distruttivi, ma al contempo portano la vita e bagnano la terra indurita dalla siccità, e portano riflessione e malinconia. E in fondo sono masse di qualcosa che cercano di occupare spazi vuoti e di trovare la propria forma. Un po’ come noi, no?

C’è differenza tra scrivere in italiano e scrivere in inglese? Ti sei mai sentito troppo esposto nella tua musica?

Sicuramente, almeno per la mia esperienza personale, c’è un grado di profondità personale ed emotiva molto diverso, soprattutto nello scambio con l’esterno. Con l’inglese sei più protetto, ti senti più protetto, sia per un fattore di lingua che per un fattore di struttura formale: dici le cose con meno parole e concetti, e automaticamente rendi tutto più “fumoso”, magari solo “accennato” all’esterno. Tu sai bene di cosa stai cantando e lo rendi più partecipato ed emotivo, ma da fuori arriva più la tua emozione piuttosto che il concetto di cui parli o le parole con cui lo descrivi. Invece con l’italiano sei proprio tu, non si scappa, e sicuramente mi sento molto più esposto, emozionato, fragile, spaventato. Ma è proprio questo il bello.

E quale potrebbe essere l’occasione perfetta per ascoltare questo tuo disco?

Una domenica mattina di settembre, mentre fuori dalla finestra comincia un temporale leggero che bagna la terra troppo secca dall’estate, il primo temporale che segna l’inizio dell’autunno. Magari appena svegli, ancora sotto le coperte. Consigliato l’ascolto condiviso con l’eventuale persona nel letto accanto a voi, ovviamente.

A quale periodo della tua vita fa riferimento questo disco? Ti senti ancora così?

Questo disco si chiama Tre stagioni. La vita sognata, la vita vera perché parla di un periodo ben preciso, tre stagioni appunto, la primavera-estate-autunno del 2021. È stato un periodo che ha sancito la fine e la separazione da qualcosa e da qualcuno, e la costruzione di una piccola stanza dove elaborare questo lutto emotivo per poi decidere di lasciare quel luogo e partire per andare altrove, chiudendo un cerchio che ha completato la sua chiusura in questi anni successivi. E mi viene da dire anche che però, molto probabilmente, una piccola parte di me si sente così ancora adesso e in qualche modo si sentirà sempre così, dentro quella stanza.

Programmi per il futuro?

Sapete una cosa? In questo preciso momento, mentre sto digitando sulla tastiera queste parole, non ho assolutamente alcuna idea di cosa aspettarmi dal futuro.
Ed è una sensazione bellissima.


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Roberto DM Staff
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