Fuori da venerdì 22 settembre con distribuzione Artist First il primo EP del cantautore e produttore NiCOLA MAROTTA. “La notte degli Oscar” è un viaggio attraverso film mentali. È un continuo salto tra le storie che ci accadono e quelle che magari immaginiamo nella nostra testa e, come nella vita reale, a volte le due cose coincidono, altre meno. Ma è tutto quello che serve per far andare avanti una storia, la nostra. I 5 pezzi (o film, se vogliamo) dell’Ep rappresentano una sorta di percorso di auto-analisi, che parte dalla solitudine de “La notte degli Oscar” e passa per gli stadi della speranza (“Estate Indiana”), liberazione (“Incosciente”), innamoramento (“Wembley) e consapevolezza della felicità (“Essere felici”).
Come nasce il progetto NiCOLA MAROTTA e perché è scritto proprio in questo modo?
Il progetto nasce post-pandemia. Il mio viaggio è partito da cantautore, ma ha fatto un largo giro di 8 anni attorno all’autorato. Nel 2020 mi sono chiesto quale fosse l’unica cosa a cui non avevo dato mai davvero spazio negli ultimi anni. Direi quasi che è nata come una promessa da mantenere nei confronti della mia natura. Per tanto tempo ho pensato ad un nome d’arte, ma nel marasma degli alter ego che ci sono in giro, alla fine la cosa più originale è stata quella di mantenere il mio nome reale. È scritto così per diversificarlo da un altro progetto omonimo che ho fatto uscire troppi anni fa, quando ancora non avevo neanche idea né del mercato, né la maturità giusta per pubblicare canzoni e adesso non mi rappresenta più.
Parlaci un po’ del tuo background musicale: qual è stata la tua formazione e quali sono gli artisti che ti hanno ispirato maggiormente?
A memoria, nonostante dei periodi in cui ho spaziato davvero tanto con gli ascolti (dal Metal all’EDM ad esempio), credo comunque di essere stato sempre grande estimatore del pop. Diciamo che ho preso qualcosa da tutto quello che potevo ascoltare, anche perché prima di cominciare a scrivere (ho iniziato tardi, intorno ai 22 anni) ero semplicemente un ascoltatore molto analitico.
Amo principalmente i Coldplay e i One Republic, cerco di riportare tanto questo tipo di influenza nei miei pezzi e soprattutto cerco di mischiare il tutto con uno storytelling che si ispira (o almeno ci prova) a Dalla, Cremonini o Mobrici (per dirne tre).
Hai descritto il tuo disco “La notte degli Oscar” come un percorso di autoanalisi. Perché?
La scrittura di tutti i pezzi mi ha aiutato tanto a capire il periodo che stavo passando. Essendo un disco sviluppato in 3 anni, si è scontrato con diverse fasi della mia vita. Che poi sono anche i temi delle singole tracce. Alla fine, credo, che fantasticare sia un modo che ha il tuo inconscio per dirti quello che veramente vorresti, anche se in quel momento ti sembra strano, incomprensibile o molto lontano da te. Il disco è, per larghi tratti, la traduzione musicale del mio inconscio. Spero che questo disco aiuti non solo a passare con leggerezza la mezz’ora di chi lo ascolta, ma che possa contenere frasi a cui aggrapparsi, consigli o anche una sensazione di empatia per chi ha la sensibilità giusta di cogliere alcuni sottotesti.
Cosa puoi raccontarci sulla scena musicale della tua città e come ti inserisci all’interno di essa?
Non mi sono mai sentito appartenente a una scena musicale precisa. Le mie origini sono di provincia. Sono cresciuto in un paese di 4000 abitanti in Campania, dove oggi è ancora difficile spiegare cosa fa un musicista per vivere. L’autorato mi ha portato a Milano, ma mi sono sempre sentito un nomade da questo punto di vista. E anche un po’ un outsider. Sceglierei mille volte di trovare una “casa musicale” in tante piccole scene in giro per l’Italia, che sentirmi vicino ad una sola.
Qual è, secondo te, il marchio di fabbrica del tuo progetto?
Sicuramente lo storytelling nella scrittura. È una cosa che ho formato tanto nel periodo da autore. Il tentativo di raccontare una storia e fare in modo che la parte musicale si costruisca a favore della storia stessa quando possibile.
Prossimi step?
Di solito tendo ad essere un grande maniaco del controllo, a pianificare ogni cosa fino all’ultimo dettaglio.
Invece, stavolta sarà un po’ diverso. L’unica cosa a cui penso, per ora, è il momento in cui l’ep e lo spettacolo che gli stiamo costruendo intorno saranno portati in giro live.
Se devo pensare a un sogno su cui mi piacerebbe lavorare, magari potrebbe essere scrivere o dare un’idea su una sceneggiatura, per rimanere in tema film.
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